di Antonio Stanca –

A settantaquattro anni Stefano Benni continua ad applicarsi nella narrativa, nella poesia, nel giornalismo. Ha scritto pure per il teatro, ha preparato spettacoli, vi ha recitato. Ha tenuto seminari sull’immaginazione e sulla lettura.

É nato a Bologna nel 1947 ma in campagna ha trascorso gli anni dell’infanzia e della prima giovinezza. Legato è rimasto a quel tipo di vita semplice, spontanea, a quell’ambiente sociale giusto, corretto, regolato da una moralità, da una spiritualità che erano uniche e valevano per tutti. Altri tempi, altri ambienti sarebbero venuti per il giovane Benni, i tempi, gli ambienti moderni, quelli dei grossi centri urbani, della cultura di massa, del conformismo dilagante, quelli che hanno messo da parte ogni richiamo, ogni riferimento ai valori dell’anima perché attenti a quelli del corpo, a soddisfare esigenze concrete, a fare della volgarità un modo di vivere. Non avrebbe accettato questo passaggio Benni, si sarebbe opposto, avrebbe declamato le prime ragioni, le prime cose della sua vita. E lo avrebbe fatto tramite le opere. Sarebbero state tante, soprattutto romanzi, e in tutte sarebbe stato possibile ritrovare quella condizione di scontento, d’insoddisfazione, di rifiuto riguardo ad un cambiamento che aveva portato ad un’altra vita, ad un’altra umanità. Un problema diventerà questo per lo scrittore, comparirà sempre nei suoi romanzi. Alcuni avranno un gran successo e saranno tradotti in molte lingue, altri avranno molte edizioni e tra questi rientra Bar Sport che ad Aprile di quest’anno ha avuto la trentasettesima edizione presso l’“Universale Economica” della Feltrinelli. E’ stata un’opera molto letta, molto conosciuta anche nella seconda versione dal titolo Bar Sport Duemila. Della prima si suol dire come di una raccolta di racconti ma si tratta soprattutto di piccoli eventi, di episodi, di momenti di vita ai quali l’autore ha assistito o dei quali ha saputo. Li ha registrati e riportati nell’opera caricandoli di una vena umoristica a volte eccessiva e affidando loro quello che era sempre stato il suo messaggio, facendoli, cioè, interpreti di un tempo che non c’è più e che si vorrebbe tornasse a valere.

La galleria di personaggi e di situazioni contenuta in Bar Sport è immensa, comprende pure quanto è avvenuto fuori, lontano dal bar, in altri bar o altri posti. Non si limita a guardare nel “Bar Sport” Benni ma guarda anche altrove ché convinto è di poter scorgere ovunque i segni di quanto cerca, di una vita trasformata, guastata da quello che si chiama progresso, sviluppo. Stavolta, però, non ne fa un dramma ma trasferisce il problema in una dimensione allegra, divertente. Riesce bene anche così, anche così riesce a creare figure uniche, esemplari, a trasformare gli avventori di un locale pubblico in degli eroi, a farli vedere con i loro pensieri, le loro tristezze, a mostrare quanto di umano, di grave ci può essere dietro chi beve, chi canta, chi sparla, chi ride. Sono tanti i modi che nel libro il Benni usa per dire di questa umanità, tante le situazioni nelle quali la mostra ma non la considera perduta perché una delle ultime testimonianze è per lui di una vita che non c’è più. E’ stato questo il motivo per il quale l’ha cercata e rappresentata. Curioso è stato il modo ma non il significato.

Antonio Stanca