Pupe di pane o dell’aver speranza
di Mauro Marino –
Venerdì 16 agosto 2019, festival itinerante “La notte della taranta”. Per strada, nell’intrico dei vicoli di Carpignano Salentino, vado a cercare “Pupe di pane”. Luogo mitico Carpignano, per chi ha memoria: qui, nei primi anni Settanta, Eugenio Barba, illuminato da chissà quale dei suoi oracoli, inventò il “baratto” per far drammaturgia e con-fondere il teatro con la vita. Tra questi vicoli gli stranieri dell’Odin Teatret abitarono, fecero musica, danzarono, portarono i loro corpi tra i corpi dei paesani e, i corpi, s’incontrarono senza bisogno di usare le parole… La festa a dettare la regola e chissà quanto vino, chissà quanto pane…
In via Giuseppe Elia, una rientranza disegna lo spazio di una stanza al cospetto del pubblico in attesa, ad accoglierlo Franco Ungaro, direttore dell’Accademia Mediterranea dell’Attore che cura e coordina lo spettacolo. “Pupe di pane” con i segni della regia di Tonio De Nitto è interpretato da cinque attrici: Angelica Dipace, Benedetta Pati, Giulia Piccinni, Antonella Sabetta, Carmen Ines Tarantino; gli abiti che le vestono sono stati realizzati da Lilian Indraccolo. Una densissima azione contenuta in trenta minuti, il tempo giusto per un innamoramento. Già, a questo servono le storie, a questo il teatro, all’amore, ti rimane dentro, sollecita, ti sveglia, torna inaspettato…
«La leggenda del pane affonda nel passato e nella storia. Si sforza di accompagnarli senza identificarsi né con l’uno né con l’altra»scrive Pedrag Matvejevicnel suo “Pane nostro”, come a sottolineare un’autonomia della “materia pane”, un esserci sempre nelle vicende che hanno dato civiltà e conoscenza alla Terra. Il grano non è altro che un dono della natura alla creatività dell’uomo. Una sfida, l’affinamento di un legame antico, remoto, “iniziatico”. «Chissà dove germogliò la prima spiga di grano. La sua presenza richiamò lo sguardo dell’uomo e suscitò la sua attenzione. La collocazione dei chicchi – il loro ordine all’interno della spiga – offriva un modello di armonia, di misura, forse anche di uguaglianza».
Armonia, misura, uguaglianza, la cifra di “Pupe di pane”, dove ogni piccolo gesto è al servizio dell’insieme in un crescendo che, dal gesto trova ritmo va alla parola e al canto, compie la memoria del rito del pane. Il ritmo è cosa della vita, batte il nostro tempo, lo avvicina al respiro, al cuore, da figura e armonia al movimento. Il pane ha il suo “tempo”, chiede ritmo e pazienza, detta, l’attesa, chiede la pausa dove tutto è santo nel compiersi del miracolo. Farina, acqua e mani, il segreto del lievito, la preziosità dell’olio, la sapienza del sale. Poche cose, da secoli, servono la vita, la rendono possibile.
Loro, vengono nel quadrato della stanza, prendono lo spazio, sanno ogni passo, hanno confidenza con il tavolo che la abita. Qualcuna sbadiglia, è notte, un’altra gratta il tavolo, lo prepara; un’altra è cauta, si muove lenta come a dare valore a ciò che porta… Gesti fanno il setacciare, gesti formano la conchetta di farina sul tavolo, versano l‘acqua, aggiungono il lievito… S’impasta in coro, “suonandoli”, i gesti, s’attende poi, la croce principia il lievitare. Ecco il panno bianco, a coprire l’impasto. “Quando dorme non devi toccarlo” e mai bestemmiarlo il pane. Piccoli cenni, fragili intese scrivono l’armonia delle relazioni: l’odore della farina, le ore regalate alla notte. E poi “li cunti”, i ricordi. E sai di quando la farina era fatta con le scorze dei lupini, faceva un pane amaro; sai della fame, della tessera per averlo. E sai di quando, al tempo della guerra, ti davano cinquecento grammi di farina e un bicchier d’acqua con due “dicilitri” di olio dentro, per sopravvivere. E sai della “leca dei muratori”, dei primi sindacalisti, delle lotte per il lavoro e per il pane e delle fucilate contro la folla davanti alla Prefettura. Sai delle Pupe di pane, della differenza tra quelle dei poveri poveri, quelle di chi stava un po’ meglio e quelle dei ricchi con l’oro dentro. Sai del pane che s’è mangiata la collanina e… “non preoccuparti te ne verrà bene”, di Sant’Antonio, del pane offerto a calmare ogni paura, del pane da baciare. Bacialo il pane, baciatelo sempre anche quando è ammuffito, quando è duro, quando è caduto per terra… Baciatelo, non ne fate spreco. E con il pane baciate la vita e chi il pane non lo ha.
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