Paolo Rumiz ancora in viaggio
di Antonio Stanca –
Due anni fa la Feltrinelli aveva pubblicato, nella serie “I Narratori”, Il filo infinito, quest’anno lo ha riproposto nella “Universale Economica”. E’ un’opera di Paolo Rumiz, noto giornalista de “La Repubblica” e “Il Piccolo” di Trieste, scrittore e viaggiatore. Lavora anche per la televisione e il cinema. E’ nato a Trieste nel 1947 e qui vive con la famiglia, i figli, i nipoti. A settantaquattro anni non ha smesso di viaggiare, a piedi, con la bicicletta, con la macchina, col treno, di scrivere dei suoi viaggi, di ricavarne romanzi, racconti, reportage per i giornali, e soprattutto di sperare che il mondo moderno cambi, recuperi quanto ha perso, ritorni all’ordine. Un umanista, un convinto, un acceso umanista è Paolo Rumiz. Molti riconoscimenti ha ottenuto e non solo in Italia. Molto ha visto dell’Italia, dell’Europa, del mondo, molto ha studiato di storia, geografia, letteratura, lingua, religione. Il suo discorso, la sua scrittura si muove con facilità tra epoche, opere, eventi, personaggi lontani, diversi, li confronta tra loro e con altri, coglie le differenze, le somiglianze. Molto sa Rumiz, attira quando parla o scrive ché in una dimensione da favola trasferisce l’ascoltatore o il lettore, non gli fa distinguere tra la verità, la leggenda, il mito, l’immaginazione, l’invenzione. Non si finisce mai d’imparare da Rumiz: tutto quanto è stato dell’uomo nello spazio e nel tempo scorre attraverso parole che vanno dalle più antiche alle più moderne. Di ogni umanità mostra di sapere e in qualunque luogo ci sia stata, abbia operato. L’ha studiata e poi è andato a trovarla se c’era o a cercarne i resti se era sparita. Ne ha scritto.
Una tra le ultime di queste operazioni contiene Il filo infinito. Nell’opera, un lungo, interminabile diario di viaggio che molto concede al racconto, alla poesia, Rumiz dice di un percorso immenso da lui ultimamente compiuto in Europa alla ricerca di tutte le abbazie benedettine che c’erano ancora o c’erano state. Aveva cominciato da quella di Norcia, la prima ad essere fondata, da quel che vi era rimasto dopo il terremoto di alcuni anni fa ed aveva raggiunto le tante altre, nelle nazioni più diverse, nei posti più disparati, tra gente di ogni costume, lingua, pensiero. Aveva avuto compagni di viaggio, aveva vissuto situazioni tra le più difficili ma aveva anche visto luoghi tra i più belli. Aveva attraversato villaggi, paesi, città, fiumi, mari, percorso valli, pianure, colline, montagne, boschi, foreste, assistito a tanta vita diversa, si era fermato con tanta gente nuova, adattato a tante situazioni, a tante circostanze ma in quelle abbazie ci era arrivato, si era fermato per qualche giorno, aveva parlato con i monaci, con i loro capi, aveva visto come stavano, come vivevano. In alcuni posti le abbazie non c’erano più, le devastazioni, le guerre, i bombardamenti, l’incuria, il mancato rispetto le avevano distrutte.
Fondatore dell’ordine dei Benedettini era stato San Benedetto da Norcia (480-547), suo era stato il principio, la regola, “ora et labora”, che quei monaci, dai primi a tutti gli altri, avrebbero sempre osservato. Li avrebbe sostenuti per quindici secoli, avrebbe fatto risorgere i loro monasteri dalle rovine, dalle macerie che i tempi avevano provocato. Li avrebbe sollevati da tante cadute, ne avrebbe fatto i migliori depositari, con i loro amanuensi, le loro biblioteche, di quella cultura che veniva dal passato più remoto e che tante volte nella storia d’Europa aveva rischiato di scomparire. Dei luoghi di salvezza, di rifugio per persone e cose, dei fari di luce avevano rappresentato i conventi dei Benedettini quando dopo Roma, nell’alto Medioevo, l’Europa era stata percorsa dalle sanguinarie orde dei barbari. Anche su questi erano riusciti a vincere a volte i monaci, anche questi avevano ridotto al loro ordine, alla loro regola. E poi ancora durante altri periodi bui della storia europea, durante le guerre mondiali, avevano resistito alle avversità, avevano salvato dalla fame, dalla malattia, dalla morte chiunque vi si fosse rivolto. Se l’Europa di oggi esiste nelle sue nazioni, nei suoi popoli, nelle loro lingue, nelle loro storie, nelle loro culture, il merito è quasi esclusivamente dei Benedettini che in conventi sparsi nei diversi stati si sono adoperati per secoli a salvare, recuperare, sistemare quanto stava per andare perduto.
Questo è “il filo infinito” che unisce quei tanti posti lontani tra loro ma tutti animati dagli stessi intenti, dagli stessi scopi. Non sono rimasti separati dal mondo, non lo hanno ignorato ma aiutato, hanno collaborato per la sua salvezza.
In quei conventi è andato Rumiz e vi ha trovato le testimonianze di un così importante fenomeno, di una così importante opera di volontà, di applicazione, di fiducia. Non ha mancato di confrontarla con la crisi dei tempi moderni, il malcostume diffuso, la volgarità dilagante, la perdita di ogni valore morale, spirituale, ideale. Non sembra possibile, osserva, che in un passato non tanto lontano tutto fosse completamente diverso. Dolorosa è per lui questa constatazione, non riesce a convincersi e conclude il libro esprimendo la sua speranza in un mondo che voglia correggersi e s’impegni per farlo.
Antonio Stanca
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