Ólafsdóttir, nella prigione dei pensieri
di Antonio Stanca –
La scrittrice islandese Auđur Ava Ólafsdóttir è nata a Reykjavík nel 1958, ha insegnato Storia dell’Arte presso l’Università ed è stata direttrice del Museo dell’Università d’Islanda. Cinque sono i romanzi da lei pubblicati finora e tra questi Rosa candida del 2007 e Hotel Silence del 2016 sono stati particolarmente apprezzati. Hanno ricevuto molti premi. Tra l’altro Hotel Silence è stato finalista al Premio Strega Europeo 2018. A Gennaio di quest’anno l’opera ha avuto la prima edizione nella collana “Super Coralli” della casa editrice Einaudi di Torino. La traduzione è di Stefano Rosatti.
Anche poesie ha scritto la Ólafsdóttir ma sono stati i romanzi a renderla nota poiché impegnati si sono mostrati ad indagare nell’animo umano, a rappresentare i problemi interiori dai quali può essere travagliato, a mettere a confronto l’uomo con la vita, con la storia, il singolo con la collettività, l’individuo con il mondo. Alla ricerca si mette la scrittrice di quelle spiegazioni che ancora non sono state date, di quei significati che ancora mancano, di quanto nella vita è ancora estraneo, sconosciuto all’uomo, alla sua comprensione, al suo intelletto. Si tratta di situazioni che in ogni vita possono sopraggiungere ad interrompere, sconvolgere quanto normalmente procedeva, a creare ostacoli, a fare dei pensieri una prigione che si restringe sempre più. Dalla vita provengono i suoi romanzi, da quanto in essa può complicarla, alterarla, fermarla.
Così pure in Hotel Silence dove il protagonista Jónas, di quasi cinquant’anni, si separa dalla moglie quando sa che la figlia Vatnalilja, ormai ventenne, non è sua ma di un vecchio fidanzato col quale leic’era stata poco prima del matrimonio con Jónas. Neanche la madre gli è di aiuto ché molto vecchia e molto malata è ormai, non ricorda più, non riconosce più, non sa più. Né lo può aiutare quel vicino di casa, Svanur, col quale tante cose, tanti pensieri scambiava Jónas. Anche lui ha avuto problemi con la moglie, si è separato.
Ha perso Jónas ogni punto di riferimento, invaso è stato da pensieri che non cessano di aggravarsi, di complicarsi. E’ disperato, non sa più dove, come, con chi stare, si sente finito e la fine vorrebbe che fosse anche della sua vita, procurarsela vorrebbe, uccidersi ma non dove ci sono ancora Vatnalilja, Svanur e altri che lo conoscono. Lontano, in un posto sconosciuto si reca con pochissime cose e con quegli attrezzi che potrebbero essere utili ad un’eventuale impiccagione. Dovrebbe stare poco tempo nel nuovo posto, il tempo per suicidarsi.Qui da poco è finita una guerra molto violenta ed evidenti sono i segni degli scontri, dei bombardamenti, delle distruzioni, delle devastazioni avvenute. Molte persone sono morte e l’Hotel Silence, dove trova alloggio, è quasi vuoto poiché nessun turista è attirato da un paese distrutto.
Tra tante rovine Jónas pensa a come preparare la sua, a come darsi la morte. Succederà, invece, che con gli attrezzi che aveva portato con sé cominci a riparare la finestra e la porta della sua stanza d’albergo, che venga notato dal proprietario e invitato a fare altri lavori, a riparare l’intero albergo in cambio di una permanenza più prolungata e gratuita. Anche il ristorante dove pranza gli offrirà la stessa possibilità ed anche la casa dove hanno pensato di abitare alcune signore con i loro bambini perché meno rovinata dalla guerra. Un avvenire si prospetta per Jónas anche perché una di quelle signore, più giovane di lui, mostrerà particolare attenzione nei suoi riguardi. Scoprirà, dunque, l’uomo interessi ai quali non aveva pensato, si vedrà capace di partecipare di quella vita alla quale voleva rinunciare, si sentirà importante per molte persone che da molto tempo volevano sistemare le loro abitazioni e quanto contenevano perché rovinato dalla guerra, dal passaggio, dall’abuso compiuto dai militari nemici. Non penserà più al suicidio Jónas, riprenderà i contatti con Vatnalilja e tramite lei con la moglie. Tornerà da loro in quell’Islanda che aveva pensato di abbandonare. E’ come se fosse rinato, come se quell’esperienza gli avesse restituito la sicurezza, la fiducia che aveva perso. Molti, tanti sono stati, però, i pensieri, i turbamenti che hanno attraversato la sua mente, il suo animo e qui si mostra abile la Ólafsdóttir, nel far vedere come può formarsi un tormento, come può essere avviato da una situazione anomala, imprevista, come tutti sono esposti a questo pericolo. Ovunquepuò succedere, chiunque può esserne vittima e funeste sono le conseguenze. Ci si può anche salvare come è successo a Jónas ma questo non annullail pericolo, non significa che si è liberi dal suo assalto, dal suo agguato.
Di questo aspetto ambiguo, doloroso, drammatico della vita la Ólafsdóttir vuole essere la scrittrice e anche stavolta c’è riuscita, anche stavolta il suo linguaggio è stato quasi continuamente dialogato. Ai vari personaggi, ai loro discorsi affida lei il compito di dire quanto pensa della vita.Teatro sembra il suo, rappresentazione scenica.
Antonio Stanca
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