Nâzim Hikmet, un’eroica vita fatta d’Amore
di Antonio Stanca –
Da Mondadori, nella serie “Oscar Moderni”, è stato ristampato l’anno scorso Il Nuvolo innamorato e altre fiabe di Nâzim Hikmet, poeta, scrittore e drammaturgo turco naturalizzato polacco. L’opera è stata curata da Giampiero Bellingeri e illustrata da Fabian Negrin.
Hikmet è nato a Salonicco nel 1902, nella parte ottomana della Grecia, ed è morto a Mosca nel 1963. Era vissuto sessantuno anni e molto aveva fatto, molte peripezie aveva attraversato. La sua era una famiglia aristocratica, importanti e di rilievo in ambito sociale, culturale e militare erano le ascendenze per il padre e la madre. La cultura, l’arte erano state praticate dai genitori e risalivano ai più lontani antenati. Da un ambiente così impegnato, così fervido, Hikmet si era sentito stimolato a scrivere, a comporre versi. Le sue prime poesie risalgono a quando aveva quattordici anni, la prima pubblicazione a quando ne aveva diciassette. In seguito aveva cominciato a lavorare come insegnante ma poi aveva dovuto lasciare la Turchia e riparare in Russia perché dissidente politico, contrario al regime nazionalista turco. Erano gli anni Venti, viveva a Mosca, studiava Sociologia presso l’Università, aveva aderito al socialismo, al comunismo di Marx, era diventato ammiratore di Lenin, suo amico. Rientrato in Turchia grazie ad un’amnistia, aderisce al Partito Comunista, scrive di teatro e di poesia, rinnova la moderna lirica turca tramite l’uso del verso libero ma finisce in carcere perché contrarie alla linea politica del governo erano le sue opere. Gli saranno condonati alcuni anni ma tornerà in carcere nel 1938 quando un suo poema e alcuni versi non saranno accettati dal sistema costituito. Inizieranno da questa seconda detenzione le manifestazioni di quei disturbi cardiaci che lo avrebbero portato alla morte. Uscito dal carcere grazie all’intervento di una commissione internazionale composta da eminenti personalità del mondo della cultura e dell’arte, andrà di nuovo a Mosca. Sono gli anni Cinquanta, il nuovo corso della politica russa lo farà sentire più libero, viaggerà molto, si sposerà per la quarta volta, dalla terza era venuto il figlio Mehmet. Scriverà poesie, racconti, romanzi, drammi. In carcere aveva scritto molte poesie. Nel 1950 gli verrà assegnato il prestigioso premio “World peace Council”. Sarà candidato al Premio Nobel per la Pace. Morirà nel 1963. Molto citato è ancora oggi in antologie, nei media e in manifestazioni o rappresentazioni di diverso genere. La sua notorietà rimane, tuttavia, legata a Poesie d’amore, la famosa raccolta poetica del 1963 dove la denuncia dei problemi sociali e il trasporto lirico, la polemica contro le ingiustizie e lo spirito artistico raggiungono la loro espressione migliore, la più compiuta combinazione. Sono gli elementi, realtà e idea, materia e spirito, che sempre, in ogni opera dell’Hikmet, è possibile rinvenire. Non si era mai allontanato dalla vita, non aveva mai ignorato i suoi problemi, aveva lottato per la loro soluzione fossero di carattere individuale, sociale, nazionale, internazionale. La politica era stata una delle sue attività, non aveva temuto di esporsi, di accettare conseguenze pur gravi. Uno spirito forte, combattivo, indomito era stato il suo ma anche uno spirito contemplativo, sognante, trascendente. Di agire e di astrarsi era stato capace, di fare e di immaginare, di essere uomo e poeta, scrittore, autore teatrale. L’atteggiamento meditativo, l’inclinazione lirica gli avevano fatto preferire l’espressione in versi, lo avevano fatto diventare soprattutto poeta, lo avevano portato alle favole, a Il Nuvolo innamorato e altre fiabe. Era il genere in prosa che più si addiceva alla sua natura. Nell’opera, che risale al 1968, Hikmet raccoglie le favole che aveva scritto intorno agli anni Cinquanta. Provenivano, dice, dai racconti della nonna e soprattutto dalla conoscenza e dallo studio della tradizione folcloristica del suo paese. Sono popolate da ogni forma di vita umana, animale, vegetale, da bellissime donne e orrendi mostri, da giovani coraggiosi e vecchi disperati, da situazioni di pericolo e soluzioni tra le migliori, da bisogni, indigenze, segreti, inganni di ogni tipo e ottime conclusioni, da gravi omissioni e gravi punizioni. Sono tanti gli estremi che nel bene e nel male ricorrono in queste favole, tanti i personaggi che li vivono. Remoti sono i tempi ai quali appartengono ma questo non impedisce che esprimano valori, significati validi per la vita di sempre, compresa quella moderna, per la storia dell’uomo, compresa quella attuale. È stato sempre questo l’intento di Hikmet, procurare un valore ideale alla sua opera, un effetto morale. Stavolta ha rifatto quanto gli veniva dal passato più remoto ma non ha rinunciato a cercare, ad indicare i modi per renderlo utile, per trarne insegnamento.
Nella vita si era sacrificato, aveva corso tanti pericoli, aveva sofferto tanti problemi in tanti posti, tra tanta gente ma non aveva smesso di lottare per il bene, per il meglio, d’inseguire l’idea, nell’opera non poteva fare altro!
Antonio Stanca
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