di Marcello Buttazzo –

Nei versi della fabbrica metalmeccanica
si annida il canto del tuo corpo
inferno di macchina prepotente
che vuole risucchiare
Una mano spegne il dispositivo
  -blocca tutto
È un inferno la macchina risucchia- operai

Simona Cleopazzo è una donna di passione, d’amore. La scrittura è il suo mestiere di vivere, strettamente ancorato alle maglie della realtà. Ha pubblicato i romanzi “Tre noci moscate nella dote della sposa” (Lupo Editore), “Irene e Frida” (Musicaos editore), “150 e 1 poesie” (Collettiva edizioni indipendenti), “Questi giorni” (Sensibili alle foglie). Attualmente cura le Conversazioni filosofiche e femministe a domicilio, il laboratorio di scrittura poetica: Parole, segni, svolazzi. Lavora a Ognibene, la biblioteca di comunità del Comune di Lecce. Conosco da molti anni Simona e apprezzo la sua sensibilità, il suo sentimento d’accoglienza, la sua bellezza umana. Il suo amore per la cultura, intesa come superiore adattamento alle varie evenienze del vivere quotidiano. Il suo status esistenziale. Donna, figlia, madre, moglie, lavoratrice, scrittrice, con un bagaglio di principi e valori non retorici, ma intimamente aderenti agli sviluppi dell’esitente. Da pochi giorni (a giugno 2024) è stato pubblicato da Collettiva edizioni indipendenti una nuova opera di Simona Cleopazzo, dal titolo “Movimenti terra”, nella sezione prose minime, con traduzione in inglese di Micol Grasso, con una splendida nota di Stefania Zecca, con foto di Luca Ruberti.

“Movimenti terra” è un poema chiaro e analitico, procede come un vero e proprio diario poetico, che non ha però solo l’inclinazione a svelare e a portare alla luce del sole vissuti dell’autrice. Tutt’altro. La tematica trattata da Cleopazzo (il lavoro in fabbrica e fuori, lo sfruttamento, le vicende di diversi protagonisti) si srotola come un film intimo, a volte con descrizioni liriche, altre volte drammatiche, che riguardano la vita d’una comunità. Questo libro poetico di Simona ha un fiato universale, un palpito che scuote, un trasalimento che interpella tutti, uno ad uno. Stefania Zecca scrive: “Simona sceglie la forma del poema, la poesia dunque, solitamente espressione di un’individualità, per riarticolare un discorso dall’io a una più ampia condizione umana. Si fa quindi scrittura politica”. E, in effetti, l’anelito e l’impegno civili pervadono ogni verso, diventano preponderanti, la carne essenziale di questo scritto bellissimo e irrinunciabile. “Movimenti terra” comprende tre sezioni, che tratteggiano un incedere quasi cronologico. Nella prima parte, dal titolo “la fabbrica” (1972-1991), vibra potente la denuncia dell’autrice contro il capitalismo e l’abbrutimento del lavoro operaio. I versi seguono, tra l’altro, un processo descrittivo e compaiono squarci vividi di quella temperie storica. In quegli anni, la pietà di Michelangelo viene deturpata a martellate da un australiano di origini ungheresi. La Fiat 127 diventa auto dell’anno, nasce la 126, viene ucciso il commissario di polizia Luigi Calabresi, vittima del terrorismo eversivo. S’afferma il PCI di Enrico Berlinguer. E il volto del grande leader compagno riempie di futuro gli occhi di Simona. Compare lo spaccato della fabbrica del padre dell’autrice, la puzza dell’olio, la prostrazione dei lavoratori. Palpabile si respira l’ingiustizia nella fabbrica, laddove la polvere-particella si introduce dappertutto, le operaie non possono parlare fra loro.” La sottomissione le cambia fisicamente”. Fino a quando non arriverà, implacabile, il cancro a fare piazza pulita. La prima parte di “Movimenti terra” ha come protagonista il corpo dilacerato dei lavoratori. Il corpo parla, evoca, grida, narra. È un corpo spezzato, bruciato da un capitalismo infausto. Nella seconda sezione “Sbarcare il lunario” (1991-1999), Simona spinge a guardare con occhi aperti e vigili il suo viaggio a Bologna. E anche questa è poesia universale. Come in un film davvero, con immagini plastiche, passa davanti a noi una varia umanità precaria: Andrea che ha lasciato il lavoro all’agenzia immobiliaria, Tamara che è socia di una cooperativa che gestisce servizi di pulizia. Simona nelle pause si dedica alla scrittura, che è già un “demone” felice e furente. In questo scritto s’esalta una sentita volontà politica: “file sudore/fatica attese/palpitazioni irregolari/la mia ansia è proporzionata/alla mia voglia di autodeterminazione/alla mia sete di giustizia”. La fatica, lo studio, gli esami all’Università, diventare carne da macello assieme a una mezza dozzina di ragazzi senegalesi, gli studenti della pantera che occupano, i loro corpi che si mescolano e s’abbracciano, gli attentati terroristici di quegli anni, Bologna che è madre nonostante tutto, i Sud Sound System che cantano a Nonantola. Questo e altro ancora nelle descrizioni essenziali di Cleopazzo. Essenziali perché sanno andare all’essenza delle cose. I suoi versi non sono sperimentali, non conoscono orpelli e barocchismi di sorta. Sono versi lineari, che fanno trapelare l’humus vibratile e sostanziale. Sanno donare linfa reale immaginifica. Simona, mentre lavorava in pub a Bologna, si trancia un pezzetto di pollice con l’affettatrice elettrica. Il titolare le chiede di non denunciare. Lei è testimone de visu dei soprusi che subiscono tanti lavoratori, tante lavoratrici. L’ultima sezione “Movimenti terra” è molto intima, introspettiva. Cleopazzo ci fa intuire le ragioni della sua scrittura: la morte della nonna, il “lavoro di merda”. Scrive negli spezzoni di tempo libero. Ma ha saldo nella mente un paradigma: “sono stanca/ho mal di testa/chi ama davvero/dovrebbe dirti parole come/coraggio”: E Simona è una donna che ama e ha amato tantissimo. Due poesie, in apertura, sono dedicate all’amico deceduto Ivan, che lavorava in fabbrica metalmeccanica, e alla poetessa Nella Nobili, che lavorava in fabbrica come soffiatrice di vetro per la preparazione di boccette medicinali. Vorrei chiudere con le parole puntuali di Stefania Zecca, che mi sembrano molto emblematiche: “Quest’opera come una carrucola oscilla su due filamenti: il corpo e la scrittura. Tutte le pagine sono percorse da richiami sulla scrittura come necessità, come urgenza, riconosciuta come strumento di indagine e rivelazione della verità”.

la data l’esame

le piastrelle i pavimenti da lavare

                  i piatti

                  sorvolo

                       la scrivania scorticata

                       dallo studio disperato

        a pranzo pasta pesto con aglio

                  -meglio non baciare oggi

Marcello Buttazzo