di Antonio Stanca –

Allegato al periodico “Famiglia Cristiana” è uscito tempo fa il volume Giulia delle edizioni San Paolo di Milano, nella serie “Vite Esagerate”. Lo ha scritto Moreno Giannattasio, giovane autore di libri e di teatro per ragazzi e docente di scrittura creativa, dietro sollecitazione di Sergio Borghetti, che nel 2015 aveva organizzato a Castelfidardo, in provincia di Ancona, una mostra intitolata “Educare il cuore” e impegnata a ripercorrere la storia di una scuola paritaria di quel comune gestita dalla Congregazione delle Suore di Sant’Anna. Oggi è una scuola primaria ma è sorta nel 1847 come “scuola per i figli del popolo” su iniziativa dei marchesi Giulia e Tancredi di Barolo.

La mostra aveva avuto un notevole successo, era stata presentata pure in alcune città d’Italia ed aveva richiamato l’attenzione sulla vita e sulle opere dei coniugi Giulia e Tancredi. Una ricostruzione di esse ha voluto che si facesse Borghetti tramite il libro del Giannattasio, che a Castelfidardo vive e che recentemente ha pubblicato, con ELI- La Spiga, Trappola nella rete.Ha voluto che si sapesse, si diffondesse quanto, durante i lavori di preparazione della mostra, era egli venuto a sapere circa i due personaggi dell’Ottocento italiano.

Nella prima metà del secolo diciannovesimo si colloca la loro attività di recupero, di promozione sociale, di beneficenza per le classi più povere, più bisognose. Questa si svolse soprattutto a Torino e nel Piemonte. La scuola di Castelfidardo fu la prima da essi fondata oltre i confini del Regno Sabaudo.

Lei, Juliette (Giulia) Colbért, ragazza molto bella e molto colta, francese di Vandea e diretta discendente del Ministro delle Finanze di Re Sole, aveva sposato a Parigi nel 1806, quando aveva vent’anni, il ventiquattrenne Tancredi Falletti, figlio del marchese di Barolo e ultimo erede di una delle più ricche e antiche famiglie del Piemonte. I  due si erano conosciuti alla corte di Napoleone, del quale Tancredi era ciambellano. Dopo un breve periodo di residenza parigina si erano trasferiti a Torino nel palazzo dei Barolo.

Sposati ormai da anni non avevano avuto figli e si erano rassegnati all’idea che Giulia non ne avrebbe potuto mai avere. Avevano sofferto per questo e, tuttavia, era stato il motivo che avrebbe suscitato prima in Giulia l’idea di avere comunque dei bambini, di formare comunque una famiglia anche se più grande di quella che sarebbe potuta essere la sua. Aveva pensato, cioè, di accogliere nella loro grande casa, nei piani inferiori, quei bambini, quelle bambine che conducevano una vita grama, povera, che mancavano delle necessità prime quali quelle del cibo, dei vestiti, che venivano da famiglie bisognose o che non avevano una famiglia.

Lei, divenuta marchesa di Barolo, era ormai una donna molto ricca e le sue intenzioni di fare opere di beneficenza incontravano il favore del marito che da quando l’aveva sposata si sentiva una cosa sola con lei, si sentiva sollevato, completato dalla sua bellezza, dalla sua cultura, dai suoi pensieri, dai suoi sentimenti. I due avrebbero proceduto uniti, insieme sulla via di un bene che non sarebbe stato soltanto quello che si era creato tra loro ma si sarebbe rivolto pure all’esterno, li avrebbe messi, insieme alle loro ingenti risorse, a disposizione di chi aveva bisogno.

Perciò quel rifugio offerto in casa loro ai bambini bisognosi si era trasformato nel primo asilo della città di Torino, nella prima scuola per l’infanzia. Sarebbe diventato una scuola elementare ed altre, collocate in altre zone della città, in altri posti della regione piemontese, in altre case ristrutturate, adattate a spese dei marchesi di Barolo, ne sarebbero seguite. Insieme alle scuole altri servizi pubblici sarebbero stati realizzati in particolare da Giulia ché Tancredi, ingegnere, sarebbe stato preso dagli impegni presso il Comune di Torino e da altri ancora che sarebbero provenuti una volta eletto sindaco della città. Non sarebbe, tuttavia, rimasto lontano da quanto la moglie programmava e faceva, avrebbe condiviso ogni sua iniziativa e avrebbe sempre procuratoquanto serviva.

Altre famiglie nobili della città di Torino, presso le quali era giunta notizia delle opere della marchesa, avrebbero dichiarato la loro disponibilità a collaborare, anche economicamente, nei programmi da lei perseguiti. Pure i guadagni provenienti dall’aumentata produzione e vendita del vino Barolo, che dai proprietari aveva derivato il suo nome, sarebbero stati utilizzati per opere di beneficenza.

Oltrealla fondazione di asili e di scuole queste sarebbero consistite anche in quella di orfanotrofi, di case di accoglienza per ragazze madri, di convitti, di mense pubbliche, di case di cura, di ospedali, di tutto quanto poteva aver bisogno un popolo che versava in condizioni di grave indigenza.

Anche nuove carceri, con locali più igienici, più controllati, sarebbero state costruite e tanto nuovo personale sarebbe stato assunto: dalle insegnanti alle assistenti d’infanzia, agli addetti alle pulizie nelle scuole, dai medici agli infermieri negli ospedali, dalle guardie nelle carceri ai cuochi nelle mense e a tante altre persone preposte a tanti altri servizi. Anche i Barolo avrebbero avuto bisogno di un ufficio di segreteria dove si registrassero le tante presenze, le tante attività che ormai avvenivano nei diversi istituti della città e della regione. Anche nuovi ordini religiosi, nuove congregazioni di suore si erano rese necessarie ed anche queste furono create per scopi di assistenza, di collaborazione, di aiuto, di cura. Ovunque si sarebbero viste suore che operavano in nome della fede, di quella fede che aveva animato Giulia da quando era piccola e che la animava ancora, le faceva vedere Dio in ogni volto di bambino, di uomo, di donna che avesse bisogno, in ogni gesto, in ogni azione compiuta in loro favore. Da qui, da Dio veniva la sua generosità, con quella di Dio s’identificava, a Dio Giulia sempre pensava, con Dio parlava ogni volta che rimaneva sola, a Dio offriva la sua opera, a Dio rendeva conto di ogni suo pensiero. Anche il suo amore per Tancredi era per lei amore per Dio: di sola anima era fatta Giulia, di solo spirito le sue parole.

La sua vita era trascorsa tra la Francia e l’Italia, tra Parigi e Torino, tra Napoleone e Risorgimento. Breve era stato il periodo francese, più lungo quello italiano trascorso soprattutto a Torino tra i più noti personaggi dell’epoca, da Giuseppe Mazzini a Camillo Benso di Cavour, da Cesare Balbo a Federico Confalonieri, da Papa Gregorio XVI a Giovanni Bosco, dal re Carlo Alberto alla regina Maria Teresa. A Parigi, alla corte di Napoleone, aveva conosciuto Tancredi, a Torino nel palazzo dei Barolo aveva assunto come segretario Silvio Pellico: dalla fine dell’Illuminismo all’età del Romanticismo era vissuta e di questi tempi, di questi luoghi, dei loro ambienti, delle loro persone, dei loro modi di vivere, di pensare, di comunicare, di viaggiare, di fare, scrive Giannattasio nel libro. Per intero ripercorre la storia dell’Europa tra fine Settecento e primo Ottocento tramite la figura, la vicenda di Giulia di Barolo, nel personaggio di una favola trasforma questa e come nelle favole eterna la rende, per sempre la fa vivere insieme a quanto le è stato intorno.

Antonio Stanca