di Antonio Stanca –

Ha settantasei anni Valerio Massimo Manfredi e molto ha fatto e ancora va facendo. E’ un personaggio noto in molti ambiti, da quello storico a quello letterario, giornalistico, televisivo, cinematografico e ad altri quali la direzione o la collaborazione con spedizioni o scavi in Italia e all’estero sempre a scopi di conoscenza, scoperta, sempre per ampliare, completare, arricchire quanto già si sapeva di un evento, di un personaggio o d’altro aspetto, momento della storia.

Molti sono stati i riconoscimenti che il Manfredi ha ricevuto: in particolare sono state premiate la sua opera storica e quella narrativa. Quelle dello storico e dello scrittore sono risultate le sue attività più riuscite, quelle che lo hanno fatto conoscere anche in altre nazioni, che gli hanno procurato le maggiori traduzioni. Da alcuni suoi romanzi sono stati tratti film di successo.

Manfredi si è laureato in Lettere Classiche presso l’Università di Bologna e si è specializzato in Topografia del Mondo Antico presso l’Università del Sacro Cuore di Milano. In molte Università, italiane e straniere, ha insegnato. Molto ha scritto su giornali e riviste, molti romanzi ha pubblicato e tutto è venuto dalla sua posizione di esperto dell’antichità, dal suo lavoro di ricercatore, scopritore, studioso, specialista di storia antica. Da qui sono venute pure le sue opere saggistiche nonché la sua attività in televisione e al cinema, per i quali è stato autore di molti soggetti.

Storici sono, quindi, i suoi romanzi e tra i più noti ci sono quelli dei due cicli, Aléxandros del 1998 e Ulisse del 2012-2014. Mondiale è stato il successo loro e dei film relativi.

Romanzo storico è pure L’isola dei morti, pubblicato nel 2002, quando Manfredi aveva cinquantanove anni e tanta produzione alle spalle. Nel 2018 è stato riproposto dalla Mondadori con una ristampa della prima edizione negli Oscar Bestsellers del 2005. Giallo può essere più propriamente definito il genere di questo romanzo giacché l’occasione storica dalla quale muove diventa il motivo di una costruzione ben più complicata, ben più losca, ben più moderna.

A Venezia, in uno dei suoi canali e presso un’isola ora sepolta, sono stati ritrovati i resti di un veliero che risale al secolo quattordicesimo. Era stato usato per trasportare su quell’isola i morti che c’erano stati durante la peste del 1348. Nella stiva gli esperti, che stanno conducendo l’operazione di recupero, hanno scoperto dei fori praticati su una delle pareti per far affondare l’imbarcazione e un graffito inciso su quella parete che vorrebbe essere un disegno, un’indicazione, una mappa ma è difficile capire. Dall’ascolto di una telefonata tra il direttore italiano dei lavori e il finanziatore inglese un membro dell’operazione riesce a cogliere gli estremi di un accordo segreto che va oltre il difficile graffito e diventa un documento, una pergamena contenente l’indicazione di un tesoro nascosto. Al posto dove si trova quella pergamena alluderebbero le linee, le curve del graffito. Alla sua ricerca sono, quindi, il finanziatore e il direttore e sulle loro tracce si mettono gli altri operatori scandalizzati da quanto sta succedendo sotto i loro occhi.

Non si arriverà a sapere con precisione in cosa consista il tesoro della pergamena che sarà pure trovata, addirittura si giungerà a pensare alla copia originale della Divina Commedia di Dante Alighieri. Quale tesoro maggiore per quei tempi? Dante l’avrebbe persa durante un suo viaggio a Venezia e inutilmente l’avrebbe cercata il figlio Pietro, che tuttavia sarebbe venuto in possesso di una copia identica. A questa e a tante altre supposizioni da parte di coloro che controllano i due clandestini daranno adito gli elementi, gli oggetti che emergeranno dalle loro ricerche. Ai dubbi, ai sospetti più inverosimili giungeranno essi e nonostante la vicenda rimanga sospesa, senza conclusione, non finirà Manfredi di affascinare il lettore, di legarlo, di avvincerlo fino alle ultime pagine.

È una prova riuscita, il romanzo, di come l’autore sappia fare della storia, da lui studiata, scoperta, il tema delle sue narrazioni, di come sappia superare i limiti, le circostanze di quella in nome di una rappresentazione più ampia, più estesa, più propria della vita, di come riesca a combinare il passato con il presente, di quanto sia difficile distinguere tra lo storico e lo scrittore.

Antonio Stanca