di Paolo Vincenti –

Coca cola sì coca cola chi vespa e mangia le mele
Coca cola chi coca chi non vespa più e si fa le pere…

(“Bollicine” – Vasco Rossi)

Il titolo dell’articolo è mutuato da quello del famoso film di Marco Tullio Giordana del 1980, che era una testimonianza sui mutamenti sociali e politici degli anni Settanta appena trascorsi. Proprio quegli anni Settanta, da cui provengono i cantautori di cui stiamo trattando in questa rubrica musicale. Stavolta però ci occupiamo dei “maledetti” nella musica, di coloro cioè che, conformemente alla lezione classica del maledettismo nell’arte, codificato in letteratura da Paul Verlaine col suo saggio “Les poetes maudits” del 1884, hanno condotto la propria vita fuori dagli schemi, cedendo al vizio, all’incontinenza, alla dissipazione morale, e avendo in odio la morale borghese dei propri tempi.  A differenza della scena inglese e americana, dove le star della musica dedite alla vita sregolata sono molto numerose, qui in Italia, quando si parla di artisti maledetti, il pensiero va immediatamente a due cantanti molto famosi e amati: Franco Califano e Vasco Rossi. Tutti conoscono gli eccessi della vita di questi artisti, l’abuso di sostanze stupefacenti, il ribellismo, il loro satirismo, le pose provocatorie, le vicende giudiziarie in cui sono stati coinvolti. Il loro maledettismo è riconosciuto, conclamato, anche perché costoro non ne hanno fatto mai mistero ma anzi per certi aspetti la loro vita privata si è intrecciata e confusa con quella artistica, e nelle canzoni hanno non di meno inneggiato al sesso, alle droghe, alla trasgressione. Il Califfo ed il Blasco hanno fatto arte della loro vita e vita della loro arte. Esistono tuttavia degli artisti meno talentuosi ma parimenti noti del panorama della musica leggera italiana che sono “borderline”, senza che il grosso pubblico ne sia a conoscenza. Oppure, se il pubblico ne è a conoscenza, questo non va a loro maggior gloria, non gli torna utile, come per Vasco e Franco. Anzi, le loro canzoni e l’immagine pubblica paiono in stridente contraddizione con la vita privata.  Fra tutti, facciamo tre esempi che paiono significativi.

Non ha avuto fama ma ha fatto vita da maledetto, in gioventù, Alan Sorrenti. L’interprete di “Figli delle stelle”, “Non so che darei” e “Tu sei l’unica donna per me”, il profeta della via italiana alla dance americana, ha iniziato con il progressive, nei primi anni Settanta. Sorrenti, infatti, madre scozzese e padre italiano, musicista di grande talento, pubblicò due album che sono ritenuti fra i migliori della storia del rock progressive (nella quale, per inciso, gli italiani davano parecchi punti agli inglesi che sono venuti dopo ). I suoi album “Aria”, del 1972, con il pezzo omonimo che dura 19 minuti e 42 secondi e occupa l’intero lato A del disco, e poi “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto”, del 1973, sempre con il brano principale che si stendeva su tutta la prima facciata, sono dei lavori molto impegnativi, sperimentali, per i quali Sorrenti all’epoca venne osannato dalla critica di settore. Ebbene, Alan Sorrenti, negli anni in cui mieteva grandi successi con i suoi album più famosi come “Figli delle stelle”, “N.Y. e L.A.” e “ Di notte”, subì delle vicende giudiziarie che lo portarono all’arresto per detenzione e spaccio di droga. All’epoca. faceva la bella vita fra l’Italia e l’America, circondato sempre da grandi gnocche e da fiumi di cocaina ed eroina.  Esperienza, questa, mai rinnegata da Sorrenti, ma anzi pubblicamente rimpianta perché a suo dire fu proprio la droga a dargli l’ispirazione per i suoi brani più riusciti (“Figli delle stelle” è una apologia, neanche tanto velata, dell’eroina e dei viaggi artificiali che essa regala) e dopo averne interrotto l’abuso, infatti, la sua carriera si ammosciò.

Ed eccoci a Pupo. Proprio lui, Enzo Ghinazzi, quello di “Gelato al cioccolato” e “Su di noi”, amato da tutte le teenagers brufolose degli anni Settanta e Ottanta e adorato anche dalle mamme per via della sua faccia da bravo ragazzo. Ebbene, il Pupetto si è mazzolato un discreto numero di pulzelle per via della sua ninfomania, che a lungo lo ha reso dipendente del sesso. Inoltre, pur essendo sposato dal 1974 con Anna, che gli ha dato due figlie, vive dal 1989 more uxorio con un’altra donna, Patricia, ed ha avuto pure un’altra figlia da una delle sue tante relazioni extraconiugali. Ma, nonostante ciò, e qui sta il bello, il Pupetto non si è separato dalla moglie ufficiale ed anzi ha continuato a vivere con entrambe, praticando la poligamia come uno sceicco arabo.  Nel suo palazzo, trasformato in un harem d’altri tempi, tiene la moglie al primo piano e la compagna al piano terra e si gode i favori di entrambe. Le quali non scalmanano per contendersi il primato nel cuore del Ghinazzi, come in un serraglio le giovani favorite del Sultano, ma vanno d’amore e d’accordo, complici e alleate nel singolare menage a trois.  Per lungo tempo, inoltre, Enzo Pupetto è stato affetto dalla febbre del gioco. La ludopatia lo ha portato nei guai finanziari e a finire nel giro degli usurai, se non fossero intervenuti alcuni suoi amici del mondo dello spettacolo, in primis Gianni Morandi, a salvarlo, permettendogli di ripianare i debiti e di disintossicarsi dall’azzardo. Ed è lui stesso a confessare tutto nei due libri biografici “Un enigma chiamato Pupo”, edito da Rai-Eri nel 2001, e “Banco solo! Diario di un giocatore chiamato Pupo”, Gremese Editori del  2005.  “Mi sono salvato grazie alle mie donne”, afferma, “e se non avessi cantato avrei rapinato le banche!” Uno spirito ribelle, come si evince dalle sue confessioni. “Moltissime volte ho pensato di non farcela a mantenere la mia famiglia, non è una novità che chi fa questo mestiere così precario può attraversare momenti di incertezza, ma la mia fortuna sono state le mie donne: mia moglie Anna, la mia compagna Patricia e le mie figlie Ilaria, Valentina e Clara. Sono persone semplici, disposte a rimboccarsi le maniche, a sopportare il sacrificio e non hanno mai messo in discussione il mio valore, la mia dignità. Mi hanno sempre supportato, a volte sopportato. E incoraggiato. Se non fossi diventato Pupo? Avrei potuto fare il rapinatore di banche: non avevo voglia di lavorare in modo regolare, sono un ribelle. O magari l’avvocato: ho fatto il liceo scientifico e volevo iscrivermi a giurisprudenza per difendere i deboli. Se mi fossi umiliato caratterialmente e umanamente, invece, avrei potuto fare il postino, che era quello che faceva il mio babbo. Quando sono partito da Ponticino per Milano i miei erano preoccupati. L’idea di fare il cantante e avere successo si scontrava con la loro voglia di concretezza. Anch’io non ho voluto che le mie figlie seguissero le mie orme, non solo perché non avevano le qualità adatte, ma anche perché il mondo dello spettacolo è difficile e rischioso. Oggi Clara e Ilaria gestiscono la gelateria di famiglia, Gelato al cioccolato. L’altra figlia, Valentina, vive a Cuneo ma se le cose non vanno bene potrei farle aprire una filiale in franchising!”

Il terzo artista maledetto è Cristiano De Andrè, figlio del grande Fabrizio, uno dei padri del cantautorato italiano. Cristiano, musicista di buon talento, se pure non all’altezza del padre, autore di album pregevoli ma che non hanno avuto un grosso successo commerciale, si è spesso imposto all’attenzione delle cronache per le sue intemperanze. Alcolizzato, violento, come i suoi illustri colleghi Rossi e Califano ha conosciuto le patrie galere, ma sembra che per lui non ci sia mai fine al baratro nel quale è sprofondato ormai da anni, come se un’ombra scura tallonasse da presso la sua vita. A complicare le cose negli ultimi tempi, alcune improvvide scelte delle figlie, in particolare di Francesca, che lo hanno degradato a protagonista della più becera tv gossippara, quella di Barbara D’Urso, sicché ormai a fare notizia sono i suoi incidenti d’auto o le diffide e denunce incrociate nell’ambito della faida famigliare, più che la sua musica. Anzi, il personaggio, con il suo portato di dissipazione, ha messo del tutto in ombra l’artista che trae occasioni di visibilità soltanto dalle presentazioni del suo libro autobiografia.

Come vediamo, diversi maledetti offre anche la scena musicale nostrana, che costituiscono per noi motivo di vanto ed orgoglio,  di fronte allo strapotere inglese e americano.

Paolo Vincenti