di Marcello Buttazzo –

Quel 1973, fu un anno di grazia. A Lequile, presso il Convento dei frati francescani arrivò da Taranto un frate nuovo, padre Rosario De Paolis. Allora, avevo 8 anni, frequentavo la scuola elementare pubblica del mio paese. Ero un ragazzino indocile, come tanti miei compagni di quell’età bellissima e turbolenta. Al Convento dei frati francescani, trovammo in padre Rosario una figura esemplare, una guida fulgente, che ci insegnò soprattutto le regole dello stare al mondo. Eravamo fanciulli un po’ anarchici, scarmigliati. Pronti ai giochi e alle scorrerie. Padre Rosario seppe prendersi cura di noi, con affettuosità, con discrezione, con sapienza. Ci mostrò il lato misterico dalla religione, che per lui non aveva intenti confessionali o di proselitismo. Più d’ogni cosa, si adoperò per farci apprendere i rudimenti dell’educazione civica. In pochi anni, Il Convento diventò un luogo di primaria socializzazione. Con i ragazzi più grandi, diciamo con i diciottenni, elaborò incontri e dibattiti accattivanti, con cineforum e discussioni. I ragazzi e le ragazze più grandi pubblicarono un giornale, che trattava le tematiche più disparate. I giovani cominciarono a dilettarsi di scrittura e soprattutto ad avere una consapevolezza compiuta e condivisa. Mio fratello Emidio mi parla ancora oggi delle giornate spese al ciclostile per preparare il giornale con i suoi compagni e compagne. Negli anni successivi, ci furono alcuni incontri al Convento sull’aborto. Nel Refettorio ligneo vennero inviatati studiosi laici e cattolici per dibattere la delicatissima questione eticamente sensibile. I giovani e le giovani scrissero sul giornale di questa paradigmatica tematica bioetica. Era come dibattere in un “Cortile dei gentili”: tutte le opposte e antitetiche istanze avevano cittadinanza, purché fossero rispettose delle alterità. Era davvero un grande uomo padre Rosario. Il suo approccio culturale era multipolare e laico. Non imponeva niente, Rosario. I giovani potevano crescere e volersi bene, riuscivano a studiare e a comunicare saggiamente e dialetticamente. Erano in grado di sviluppare il pensiero critico e analitico. In quegli anni, padre Rosario costruì ex novo una stupenda biblioteca. Per lui, fra le altre cose, valeva anche il principio “ora et labora”. Ricordo Rosario che, per ore e ore, si impegnava a stonacare i muri, a lavorare col cemento, ad imbiancare. La biblioteca conteneva, ad un certo punto, preziose Cinquecentine. Noi ragazzini di 8, 9, 10 anni potevamo andare lì a studiare. Capitava anche che i giovani e le giovani d’una decina d’anni più grandi ci dessero delle lezioni di doposcuola. I giovani più grandi, quelli della generazione di mio fratello Emidio, d’estate facevano con padre Rosario i campi di lavoro e di studio in altre regioni. Mio fratello spesso mi parla del campo di lavoro a Castroregio, in Calabria. Qui i giovani lequilesi, sotto la guida di padre Rosario, poterono entrare in contatto, in sintonia, con la gente del posto, con la comunità albanese. Si dava rilevanza allo scambio, al dono, alla gratuità, alla solidarietà, a tutto un insieme di beni immateriali, che l’odierna società del compra, usa e getta, non contempera affatto. Con noi ragazzini, padre Rosario era paterno e accogliente, come una madre. Certo, passavamo del tempo anche a pregare, a seguire le funzioni, la messa, a fare i chierichetti. Ma alla base d’ogni cosa c’era il gioco. Anche servire messa era un divertimento per noi fanciulli. Ciascuno di noi aveva il suo camice. Ma l’aspetto chiesastico non era sovrabbondante. Ciò che prevaleva, invece, era il prendersi cura. E padre Rosario davvero si sapeva prendere cura di noi ragazzini. Ci costruì due campi di pallone, potevamo andare anche nel campo di tennis del professore Mimino Mazzotta che si trovava di fronte al Convento. Quanti giochi innocenti, illesi, in quel Convento. Oggi, da quasi due anni, vivo con mamma Antonietta, quasi novantenne, in una casetta in affitto, legata al Convento. Dal mio giardinetto interno, posso osservare la Chiesa e il campo di bocce. Nel giardino del Convento, ancora oggi fiorisce e prospera il mandarancio. Nel giardino del Convento, ancora in qualche modo vaga il ricordo di padre Rosario, che ci ha lasciati da qualche anno, ma è ancora presente nei nostri giorni.

Marcello Buttazzo