di Antonio Stanca –

A cinquantacinque anni Fabio Bartolomei scrive opere di narrativa, è impegnato nella pubblicistica e nella sceneggiatura, insegna Scrittura Creativa. È nato e vive a Roma. La sua produzione più recente riguarda quella “Quadrilogia della famiglia” iniziata nel 2020 e della quale il terzo romanzo, Tutto perfetto tranne la madre, è stato pubblicato l’anno scorso da E/O nella collana Assolo.

Come negli altri della serie anche in questo Bartolomei esplora quei momenti, quei motivi, quei dissensi che oggi nella vita famigliare sono diventati portatori di tanta incomprensione, di tanta tensione da sfociare in veri e propri drammi. Attenta, precisa è la maniera con la quale lo scrittore procede in queste narrazioni. Non rinuncia mai a intravedere la possibilità di una soluzione, di un risvolto positivo nel problema che si sta verificando anche se costretto si vede sempre ad accettarlo, riconoscerlo.

Pure in Tutto perfetto tranne la madre dice dei disagi di una famiglia. Era stata composta dal padre Aurelio, un eminente chirurgo, il migliore della città, proprietario e direttore di una clinica, dalla bellissima moglie, donna raffinata e molto elegante, e dal figlio Pietro che andava a scuola. La madre era morta quando lui era piccolo. Ora ha trentasei anni e di lei ha solo qualche vago ricordo. È perseguitato, ossessionato dal rammarico di non averla conosciuta pienamente, di non essere stato con lei per tutto il tempo che avrebbe voluto, di non aver goduto del suo affetto, del suo amore. Gli fanno tanto male questi pensieri da trasformarsi in incubi, da procurargli visioni allarmanti. É arrivato al punto da non riuscire a liberarsi da questo stato nonostante sia chiamato a svolgere i compiti che la sua vita richiede: è sposato con Veronica, lavora presso un giornale.

Dominanti diventeranno per Pietro i bisogni, le esigenze dello spirito, incessante il travaglio che gli procurano. Si separerà dalla moglie, si rifugerà nella casa paterna. Andrà a vivere col padre perché da lui si aspetta di sapere di più della madre, di essere messo al corrente della vita di lei, a contatto con le sue cose nella casa dove era vissuta. Ma non vedrà soddisfatti questi desideri, il padre eviterà ogni discorso, ogni accenno e soltanto casualmente Pietro potrà vedere o conoscere oggetti, momenti della sua vita.

Finirà che il padre, vecchio e malato, creda di liberarlo dal tormento rivelandogli la verità. Gli dirà che tra lui e la moglie, dopo i primi anni felici, i rapporti si erano guastati, che litigavano, si scontravano con sempre maggiore frequenza e che una di quelle volte l’aveva spinta giù da un balcone. Era precipitata nel cortile di casa ed era morta. In quella circostanza la rabbia gli aveva fatto assestare un duro colpo anche a lui bambino procurandogli una ferita che ancora adesso era evidente e che gli si era fatta credere come il segno rimasto dopo un intervento chirurgico. Gli dirà pure che la morte della madre era stata fatta passare per una disgrazia dovuta ad una perdita di equilibrio e che ora aveva intenzione di costituirsi e accettare la pena che meritava.

Aveva molto sofferto per quel che aveva fatto, ne era stato torturato e aveva creduto di porvi rimedio applicandosi a sistemare, in casa, ogni cosa che scoprisse rotta o guastata. Così gli era sembrato di ridare la forma, la vita a chi l’aveva perduta.

Si conclude il romanzo mostrando Pietro intento a proseguire nell’opera di ricostruzione, ristrutturazione iniziata dal padre, animato anche lui dal pensiero che recuperando la casa avrebbe recuperato pure chi l’aveva abitata.

Originale, geniale è stato il Bartolomei in questo romanzo. Lentamente, gradualmente ha proceduto nella rivelazione di quanto di grave si celava dietro le apparenze. Tra il sentimentale, il patetico, il drammatico, il tragico si è mosso mostrando di saperli combinare nel modo migliore.

Antonio Stanca