Il mito sedimentato
di Valentina Demuro –
Giuseppe Nibali, Animale, (Italo Svevo, 2022)
Quella di Giuseppe Nibali in Animale (Italo Svevo, 2022) è un scrittura precisa, in molti punti folgorante. Ci ricorda subito che l’autore è un poeta, capace quindi di dire senza dire, lasciando significare anche le scene mute e i silenzi, il simbolo nelle sue declinazioni. Questo spinge maggiormente a cogliere letture sotterranee, una in particolar modo: la narrazione, ricca di racconti, riferimenti alla storia e alla mitologia,non solo si arricchisce di immagini e suggestioni ma, soprattutto, lega i destini dei personaggi – il padre Sergio e il figlio Giuseppe – in un modo che abbiamo conosciuto attraverso la letteratura greca. Questa aneddotica emotiva e culturale, infatti, rappresenta l’eredità che Sergio lascia a Giuseppe e che in quest’ultimo sedimenta e chiama con voce ancestrale anche lontano dal padre, lontano dalla casa frantumata dal lutto e dalle distorsioni del tempo.
A ben guardare, l’autore diventa una sorta di Omero che racconta del viaggio di un figlio, il quale, oltre a portare con sé tutti i topoi del nostos antico e contemporaneo, realizza quasi una Telemachia. Come Telemaco va per mare, dunque, Giuseppe si muove in una geografia della memoria, innescando un inconscio meccanismo di ricerca della figura paterna. Le tappe (Bologna e i Giardini Naxos di oggi e di ieri) rappresentano le visite al passato che permettono di ricostruire l’immagine del padre – ora innominabile come tale, spogliato del suo ruolo – di cui necessita per definire la propria; sempre come Telemaco, infatti, Giuseppe ha perso un riferimento che non è solo la guida della figura paterna, ma l’ordine della sua stessa esistenza sociale. Lo cerca suo malgrado, come per destino, forza endogena, bisogno muto. Per esempio, Giuseppe non vuole ascoltare le parole di Gaglio (amico del padre) ma un elemento del racconto cattura la sua attenzione e l’istinto lo spinge ad ascoltare la testimonianza di questo Nestore, compagno di avventure di gioventù con cui l’eroe-Sergio “fu sempre in concordia” (cfr. Privitera, il ritorno del Guerriero). Nonostante il senso di inutilità che il protagonista vive con rassegnazione e senza possibilità di redenzione, egli sembra interiorizzare e realizzare il modello del mito che Sergio ha seminato in lui. Così, inevitabilmente, si compie il suo destino di figlio (è la lezione dell’ ethos antropoi daimon). Il disordine emotivo che caratterizzava il non-rapporto con il padre si assesta e trova ordine, affrancandosi dal ciclo dei mali e delle colpe che ricade dai genitori ai figli (quasi di eschilea memoria): quando Sergio viene chiamato “papà”, avvenendo il riconoscimento finale e il ripristino di un ordine familiare, la morte così vicina acquista dolore, tenerezza, un sentimento che recupera senso d’esistenza.
Ma non solo: Animale ci porta anche dentro la maschera di Dioniso facendoci guardare la parte concava, quella dell’istinto, della pulsione. A un certo punto i personaggi si mostrano nudi, privi della convessità apollinea del sociale, animali, appunto, con slanci comportamentali legati alla loro natura precipua, nello scenario della dispersione, dell’annullamento che comporta la società contemporanea, nella quotidiana alienazione, decostruendo le impalcature sociali e tornando alle origini, ai primordi, alla natura intima dell’essere umano sotto le sue frammentazioni.
Con Nibali, l’antico paradigma del mito ci parla ancora e molto può raccontare di noi.
Valentina Demuro
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