di Antonio Stanca –

Han Kang è una scrittrice sudcoreana nata a Gwangju nel 1970. Il padre era un noto scrittore e lei, dopo gli studi universitari, nel 1993 aveva pubblicato una raccolta di poesie. L’anno dopo aveva esordito nella narrativa e nel 2007, col romanzo La vegetariana, aveva vinto il Premio Man Booker International. Nel 2016 vincerà il Premio Malaparte con un altro romanzo, Atti umani. La Kang insegna scrittura creativa presso la Seoul Institute of the Arts. Ora da Adelphi è stato pubblicato il breve volume Convalescenza che si compone di due suoi racconti, il primo, dallo stesso titolo dell’opera, è comparso in Corea nel 2013, il secondo,Il frutto della mia donna, risale al 1997 e dieci anni dopo, nel 2007, sarebbe diventato il romanzo La vegetariana che avrebbe procurato alla scrittrice un successo internazionale.
In entrambi i racconti, tradotti da Milena Zemira Ciccimarra, torna il tema generalmente percorso dalla Kang, quello della solitudine, dell’alienazione della donna coreana che non si adatta alla vita in famiglia, in casa, in società, che non accetta le regole diffuse, non sopporta quanto si è venuto a creare intorno a lei, quanto vorrebbe formare le sue abitudini, i suoi ambienti. Limitata, incompresa, sola si sente sia la ragazza di Convalescenza sia la giovane moglie di Il frutto della mia donna. La prima si è allontanata, si è separata dalla famiglia, dai genitori, dalla sorella che, sposatasi, è morta da tempo. E’ alla ricerca di un modo di stare, di fare, di vivere che riesca a soddisfarla anche se non è ancora arrivata a chiarirlo, a precisarlo. Non sa quel che le serve, quel che vuole, sa soltanto che vorrebbe andarsene, fuggire lontano da quanto la circonda e sa pure di non avere la forza, il coraggio necessario a compiere questo gesto. Lo avrà, però, per scatenarsi giù dalla montagna in una folle corsa in bicicletta che le risulterà fatale.

Anche la giovane sposa del secondo racconto non riesce a sopportare quel che le era avvenuto intorno, il marito, la nuova casa, i nuovi posti della sua vita. Tutto impedisce quella libertà alla quale sente di tendere, tutto è di ostacolo. La vita che vorrebbe è altra, è diversa, è lontana da ogni impedimento compresi quelli del corpo, della testa, delle braccia, delle gambe e di ogni altro elemento che al corpo appartiene. E’ la vita delle piante, degli alberi e in questa trasformerà la sua. Il marito, che vuole vederla felice, accetterà di piantarla in un grande vaso che tiene nel soggiorno e che curerà in continuazione. Lei perderà ogni aspetto umano e acquisirà aspetti soltanto vegetali, smetterà di pensare, di parlare e di fare ogni altra cosa precedente.

Il suo sarà un rifiuto totale, assoluto di quanto la vita le aveva riservato. Non aveva pensato, però, di darsi la morte bensì di continuare a vivere sotto altra forma. E’ stata un’evasione che le era riuscita.

Quando, opportunamente elaborata, l’idea di questo racconto sarebbe diventata il romanzo La vegetariana, avrebbe fatto della Kang una scrittrice nota a livello mondiale. Non si può negare quanto originale sia lei stata a fare di quello che era il tema suo solito una narrazione abilmente composta né si può mettere in dubbio come quello dell’alienazione femminile sia diventato oggi uno dei problemi più diffusi e come sia importante che l’opera di una scrittrice ad esso dia voce, come serva a far stare la letteratura nell’attualità più immediata.

Antonio Stanca