Guillermo Martínez, uno scrittore di successo
di Antonio Stanca –
Guillermo Martínez è nato a Bahía Blanca, Buenos Aires, nel 1962. É professore di Logica matematica ed ha insegnato all’Università di Oxford. Vive a Buenos Aires, scrive per il “New Yorker” e per “La Nacion”. É saggista e scrittore e nella narrativa ha esordito nel 1989 con alcuni racconti ai quali sono seguiti romanzi, saggi ed altri racconti. I romanzi sono tradotti in molti paesi e quelli che lo hanno reso noto, che lo hanno fatto diventare una delle voci più importanti dell’America Latina, sono stati due di genere poliziesco: La serie di Oxford del 2003 e I delitti di Alice del 2019. Il primo ha ricevuto il Premio Planeta ed è stato trasposto in film, al secondo è stato assegnato il Premio Nadal. E’ una continuazione dell’altro ed entrambi sono ambientati in Inghilterra, ad Oxford, entrambi dicono di un giovane argentino qui venuto per un dottorato in Matematica e qui trovatosi nel mezzo di una serie di delitti che per lungo tempo rimarranno inspiegati, non capiti.
De La serie di Oxford è comparsa di recente la prima edizione italiana nella “Universale Economica” della Feltrinelli. La traduzione è di Valeria Raimondi. Nell’opera il giovane dottorando argentino giunge ad Oxford nel 1993 e trova alloggio presso la casa di una vecchia signora che vive su una sedia a rotelle ed è ammalata di cancro. E’ appena arrivato e poco dopo la signora verrà trovata uccisa senza che si sospetti di qualcuno o di qualche movente. La nipote della donna, Beth, che viveva con lei la soffriva da tempo ma non al punto, si pensa, da volerla uccidere. Lo zio di Beth, il professor Arthur Seldom, noto matematico, le è stato vicino da quando era bambina poiché sola era rimasta dopo aver perso entrambi i genitori in un incidente stradale. Ora ha quasi trentanni e suona in un’orchestra del posto.
La morte della vecchia sarà seguita da altre morti, sempre per omicidio, sempre accompagnate da un messaggio, da un simbolo, generalmente di carattere matematico. Questo attirerà l’attenzione del giovane dottorando, del professore Seldom, del quale è diventato amico, e di altri matematici impegnati presso l’Università di Oxford. Ci saranno, naturalmente, anche le indagini della polizia, guidate dall’ispettore Petersen, e continua, interessante, coinvolgente diventerà, nel libro, la combinazione tra matematici e poliziotti, all’infinito si estenderanno i loro discorsi. Dal momento che le vittime saranno in genere persone vecchie e gravemente ammalate, agli interventi degli esperti di scienza matematica, degli agenti di polizia si aggiungeranno quelli degli esperti di scienza medica e tutti si sentiranno chiamati ad interpretare quei messaggi, quei simboli, ad avanzare supposizioni, a cercare spiegazioni. Lo faranno risalendo alla storia più antica, agli aspetti più reconditi delle loro discipline. Non si finirà mai di pensare, immaginare, dire anche perché mai si finirà di vedere, assistere, trovarsi di fronte a situazioni completamente nuove, strane, incomprensibili.
Sapientemente architettato e abilmente costruito è il romanzo del Martínez, avvinto ne rimane il lettore, coinvolto nelle sue stranezze, non riesce a staccarsene.
Stranamente l’ultima della serie di morti provocate sarà quella dei bambini down che viaggiavano su un autobus del quale l’autista perderà il controllo. Nemmeno lui si salverà e sarà ritenuto il colpevole di queste e delle morti precedenti. Si crederà di aver scoperto i motivi che lo hanno fatto agire in modo così spietato e il caso sembrerà risolto per sempre e per tutti. Nessuno più, né giornali né matematici né medici né poliziotti, ne parlerà fin quando quel noto professore Seldom non riterrà necessario confidare al giovane studente argentino, al quale tanto ci tiene, che ad uccidere la prima volta era stata Beth, la nipote che voleva liberarsi dell’ossessione della nonna e che lui aveva voluto salvarla dal carcere disperdendo ogni traccia, ogni sospetto tramite una serie di delitti. Era questa la verità e ammirati si rimane di fronte a simile conclusione dell’opera poiché fino alla fine non ha smesso di sorprendere, di meravigliare. Ampia, immensa è diventata per le tante complicazioni che contiene ma non ha cessato di essere un romanzo, non ha rinunciato ad una sua trama, ad una sua lingua, quelle proprie di chi vuole narrare, di chi vuol dire non solo della morte ma anche della vita.
Antonio Stanca
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