Giovani scrittori salentini
di Antonio Stanca – Per essere stato scritto da undici studenti, ognuno con il compito di curare un personaggio, il breve Rosso Salento (romanzo giallo a più mani), pubblicato recentemente per conto del Progetto “Caffè Vanini” del Liceo Scientifico- Linguistico “G.C. Vanini” di Casarano (Lecce), merita una particolare attenzione. Ben costruito nelle sue parti è riuscito, ben esposto nel suo linguaggio. Non lascia trasparire nessuna delle difficoltà che generalmente segnano un’opera alla quale hanno contribuito diversi autori. Con facilità si passa tra i vari argomenti del contenuto, con semplicità si procede nell’esposizione. Più persone sono diventate una soltanto. E’ segno di un acceso spirito di collaborazione, di una naturale disposizione a scambiare le proprie cose con quelle degli altri, a combinarle, unirle, fonderle.
Non è facile raggiungere certi risultati operando collettivamente. Ebbene gli undici studenti che hanno scritto Rosso Salento ci sono riusciti. Essi appartengono a classi diverse del Liceo Scientifico-Linguistico “G.C. Vanini”. Presso questa scuola da tempo si cerca di suscitare, promuovere l’interesse degli studenti per attività, operazioni, iniziative che mirano a fare della loro preparazione, della loro formazione un processo più ampio, più completo del solito. E’ stata la nuova preside, prof.ssa Maria Grazia Attanasi, a muoversi in tal senso e così si è reso possibile che l’iniziale programma “Il Quotidiano in Classe” divenisse col tempo il Progetto “Caffè Vanini”, nell’ambito del quale, s’è detto, rientra la pubblicazione del romanzo giallo Rosso Salento.
Responsabile del Progetto è la prof.ssa Maria Rosaria Palumbo, che ha seguito, guidato, orientato i ragazzi durante la composizione dell’opera, ha coordinato i loro contributi in modo che non si distinguesse tra quanto proveniva dal singolo e quanto dal gruppo.
Nel romanzo si narra di Michele, un immigrato che, giunto a Brindisi insieme a tanti altri nel 1991 e rimasto senza genitori dopo la morte della madre, era stato adottato da una famiglia di Ugento. Aveva fatto un buon corso di studi, si era laureato in Scienze Biologiche presso l’Università del Salento e, vinta una borsa di studio, faceva ora il ricercatore presso l’Università del Sud-Salento di Tricase. Qui era stato apprezzato dal Preside di Facoltà per la sua diligenza e le sue capacità. Con lui stava molto tempo in laboratorio, insieme conducevano delle ricerche e da qualche mese Michele si era fidanzato con la figlia del Preside, Ginevra. Contento viveva del suo lavoro, dei suoi successi e del suo amore.
Ma improvvisamente, inaspettatamente una mattina Michele viene trovato morto in una casa di campagna a Ugento e tra lo sconforto e il dolore di quanti lo conoscevano e lo ammiravano iniziano le indagini condotte dal Commissariato di Polizia di Gallipoli. Saranno lunghe, si estenderanno sempre più, richiederanno i contributi della Polizia scientifica, di quella Postale, l’autopsia sarà fatta due volte, gli interrogatori coinvolgeranno molte persone, porteranno alla luce particolari della loro vita che finora erano rimasti sconosciuti, i sospetti si sposteranno in continuazione e scartata l’ipotesi del suicidio non si riuscirà a capire chi, perché possa aver ucciso Michele non essendoci mai stato niente di losco, di clandestino nella sua vita.
Tra tante difficoltà succederà che quasi per caso si giunga a sapere che il veleno usato per avvelenare Michele è il topicida presente nel laboratorio di Tricase dove egli lavorava insieme al Preside. Si scoprirà che è stato lui ad avvelenarlo e che lo ha fatto perché nel loro lavoro di ricerca si sentiva sempre più superato dal suo giovane collaboratore e non riusciva a rassegnarsi all’idea di vedere ridotto, se non annullato, quel prestigio del quale per anni aveva goduto nell’ambito della cultura e della società. Né lo aveva fermato il pensiero che con quel gesto avrebbe privato la figlia del compagno al quale si era tanto legata. Molto grave era stata l’azione commessa, estese erano le sue conseguenze.
Per essere una prima prova compiuta da ragazzi e per essere stata collettiva, questo romanzo non può che meritare ammirazione.
Antonio Stanca
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