di Marcello Buttazzo –

L’illustre critico Marco Santagata, il maggior esperto di Petrarca, sosteneva in una sua antologia scolastica, quando era in vita (è deceduto nel 2020), che “a partire dagli anni Sessanta del Novecento, la migliore poesia italiana va ricercata all’interno della produzione musicale”. Forse, è una asserzione troppo radicale. Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Patrizia Valduga, Chandra Livia Candiani, Vittorino Curci, Alfonso Giuda, Erri De Luca, Maria Grazia Calandrone, Mariangela Gualtieri (ed altri) non rappresentano espressione potente e genuina della tradizione poetica contemporanea?

Guido Mazzoni, poeta, saggista e critico letterario, in modo altrettanto apodittico, ritiene che la poesia italiana sia in declino. Aggiungendo, tuttavia: ”Ha perduto da tempo ogni legittimazione collettiva”. Su questo assunto potremmo convenire e dire, sommariamente, che per qualche demerito di alcuni membri della classe politica e insegnante, per deficit del circuito informativo e comunicativo, per neghittosità di varie agenzie educative, e per altri motivi, la poesia non ha più quel prestigio e quella capacità di influenzare le maglie del connettivo sociale, come ai tempi di Montale, di Pasolini, di Penna, di Bertolucci, di Bellezza.

Certo, potremmo sposare pienamente la convinzione di Guido Mazzoni, secondo cui “l’esigenza che la poesia ha interpretato è da tempo soddisfatta, piuttosto, dalla canzone”. Di fatto, a partire dagli anni Settanta, i giovani e meno giovani con più facilità ascoltano una canzone di De Gregori, di Paoli, di Vecchioni, di Paolo Conte, di Guccini, di Fossati. E fanno una grande fatica a frequentare le librerie o a richiedere raccolte di versi per via telematica. Le ragioni sono adducibili a pigrizia, a poca rilevanza e diffusione riservata su quasi tutti i giornali d’Italia alla pubblicità dei libri di poesia.

Fernanda Pivano era convintissima: “Fabrizio De Andrè è il più grande poeta italiano degli ultimi cento anni”. È molto complicato fare classificazioni, tassonomie d’un certo tipo. Personalmente, non so se De André sia superiore, effettivamente, per potenza evocativa a Pasolini, a Penna, a Caproni, a Montale, a Saba, a Quasimodo, ad Ungaretti, a Luzi, a Zanzotto, a Gatto, a Bertolucci, a Bellezza, a Vittorio Bodini. Di certo, una canzone di Faber arriva alla gente molto rapidamente, sia per la carne spirituale della sua narrazione, sia per la veste musicale ben modulata.

Ho provato un’intensa emozione nell’assistere domenica 21 novembre, presso il Museo Castromediano di Lecce (uno dei più importanti del Mediterraneo), ad un viaggio, molto intenso e partecipato, nell’universo intrigante di Faber. Una prova generale con compagni, con compagne.
Il recital con l’appropriatissima dizione “Falegname di parole” ha voluto omaggiare un uomo di riguardo ed un cantore immenso. Infinito. La band era composta da Enzo Marenaci (voce), Tonio Panzera (piano e archi), Piero Luigi Conte (basso), Luigi Costantini (chitarra acustica e percussioni), Francesco De Pascalis (chitarra solista), Giuseppe Cristaldi (voce narrante).

De André ha avuto il pregio con la sua opera di rendere centrale e pensiero dominante un’umanità marginale di rom, zingari, prostitute, tossici. Un’umanità ferita e residuale, talvolta, ghettizzata dalla vulgata comune. Non è semplice per chi vagola in direzione ostinata e contraria con il suo marchio di speciale disperazione, fra il vomito dei respinti, percorrere i malagevoli cammini, alfine di consegnare alla morte una goccia di splendore, di verità. Non è comodo per le persone farsi accettare con la propria integrità e unicità e diversità, allorquando il vento freddo soffia sulla faccia e fa strame del contegnoso sentire. Enzo Marenaci e i suoi compagni hanno allietato in questa sorta di prova zero un pubblico avvinto ad un’idea di bellezza diffusa, un pubblico che ha apprezzato la calda voce del narrastorie salentino e la bravura degli strumentisti. Giuseppe Cristaldi, voce narrante, salentino di Parabita, che vive a Sassari, è un giovane eccellente e brillante scrittore.

Sono state eseguite 15 canzoni di Faber, con le narrazioni di antefatti, di storie, di pensamenti, di vicende, sapientemente collegate e inserite in un contesto sociale e civile, quello dell’Italia a partire dagli anni Settanta fino a fine Novecento. Spaziando da “La Canzone dell’amore perduto” a “La buona novella”, da “Andrea” a “Fiume Sank Creek, da “La città vecchia” a “Hotel Supramonte, da “Anime salve” a “Bocca di rosa”. I riccioli neri di Andrea, l’albero della neve che fiorì di stelle rosse, gli occhi turchini e giacca uguale, i ladri, gli assassini e il tipo strano, il perduto amore che straccia i capelli, le anime salve in terra e mare, le bocche di rosa che mettono l’amore sopra ogni cosa, riverberano una stagione poetica unica, irripetibile. Una stagione di note e di versi. Senza eguali. Il recital “Falegname di parole” verrà portato nelle scuole, nei teatri e nei piccoli auditorium.

Marcello Buttazzo