di Antonio Stanca

Eva Mozes Kor quando scrisse il romanzo Le gemelle di Auschwitz nel 2009 aveva settantacinque anni. Lo scrisse su esortazione e con la collaborazione di Lisa Rojany Buccieri, scrittrice ed editrice californiana che vive a Los Angeles e allora molto più giovane di lei. Nell’opera, che a Gennaio di quest’anno è stata ristampata dalla Newton Compton Editori e tradotta da Tessa Bernardi, Eva ripercorre tutta la sua vita da quando aveva dieci a quando era morta nel 2019. A dieci anni viveva a Port, un piccolo paese della Romania,dove era nata nel 1934. Da qui nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, era stata deportata dai nazisti,con i genitori e le tre sorelle, ad Auschwitz, il peggiore dei campi di sterminio. Una volta giunti viaggiando su carri bestiame lei e Miriam, perché gemelle, erano state separate dagli altri membri della famiglia e inserite nella schiera dei bambini gemelli destinati agli esperimenti medici del terribile dottor Mengele. I genitori e le due sorelle maggiori troveranno la morte nelle camere a gas.Eva e Miriam saranno salvate nel 1945 dall’arrivo delle forze alleate sovietiche.

Un anno era durata quella tremenda esperienza per le due bambine: oltre alle torture patite come cavie di Mengele avevano dovuto sopportare il freddo, la fame, la sete, la sporcizia, gli insulti di ogni genere. Crudeli, feroci erano i tedeschi verso i prigionieri, niente li muoveva a compassione, a pietà. Solo immagini di desolazione, di morte, solo orrori si offrivano allo sguardo delle piccole sorelle e degli altri bambini che, tra l’altro, sarebbero potuti morire a causa degli interventi di Mengele. Anche quanto sentivano dire, anche le voci che circolavano contribuivano ad accrescere la loro paura, a sconvolgere i loro pensieri.

Miracolosamente, prima che ad Eva e Miriam succedesse qualcosa di irreparabile, giunsero ad Auschwitz le forze alleate che misero in fuga i tedeschi e in salvo i loro prigionieri. Era il 1945 Eva e Miriam avevano undici anni. Molto altro tempo sarebbe passato, molte altre disgrazie avrebbero attraversato prima di rientrare in Romania. In uno stato di sconforto le avrebbe fatte cadere la vista della loro casa: era rovinata in ogni parte interna ed esterna, niente era rimasto oltre le pareti e pure il giardino, i campi erano stati devastati. Penseranno di trasferirsi in Israele presso alcuni zii, vi andranno superando altre difficoltà. Quando giungeranno ad Haifa saranno ragazze di sedici anni. A diciotto anni, nel 1952, entreranno nell’esercito, poi lavoreranno nel Villaggio per la gioventù e intanto studieranno. Conseguiranno titoli di studio. Sarà a TelAviv, nel 1960, che Eva conoscerà l’americano Michael Kor. Si metteranno insieme, andranno in America a Terre Haute, Indiana, si sposeranno, avranno due figli. Nel 1985 Eva e Miriam fonderanno il CANDLES, un’associazione impegnata a ritrovare nel mondo i gemelli reduci dai campi di sterminio. Nel 1995 sarà solo Eva, Miriam morirà nel 1993, a fondare a Terre Haute il CANDLES Holocaust Museum e a farne un luogo di richiamo, di incontro dove si diceva dei luoghi ai quali era sopravvissuta, di come si era salvata insieme a Miriam, di quanto era importante impegnarsi nella vita, credere nelle proprie forze, non perdere di vista i propri obiettivi, non smettere di pensare ad una condizione, ad una vita, ad un mondo migliore. Sarà il luogo dove comincerà ad impartire le sue “lezioni di vita”, a rivolgere i suoi insegnamenti soprattutto ai giovani e ai ragazzi, a quelli che considerava incaricati di costruire un nuovo mondo. Tra gli insegnamenti, oltre a quelli dell’amore, del bene, della pace, rientrerà quello del perdono che lei aveva usato nei riguardi dei nazisti perché così si era sentita liberata dal peso dell’odio, del rancore. Avrebbe continuato con le sue “lezioni”, le avrebbe tenute in tanti altri posti del mondo dove sarebbe stata invitata o sarebbe andata, da sola o tramite viaggi organizzati dal Museum. Con questi sarebbe tornata più volte ad Auschwitz, a ricordare, mostrare itempi, i luoghi della Shoah, a pregare e a far pregare perché non si ripetessero mai più. Sarà durante uno di questi viaggi in Polonia, a Cracovia nel 2019, che morirà. Aveva ottantacinque anni e non si era mai fermata da quando si era salvata, di una missione si era sentita incaricata, di un messaggio da estendere oltre ogni confine.

Conosciuta, ammirata, apprezzata, premiata sarebbe stata in molti paesi. Ovunque avesse parlato, qualunque iniziativa avesse intrapreso avrebbe sempre trovato ascolto, seguito. Instancabile sarebbe stata. Tra viaggi,convegni, conferenze, pubblicazioni, documentari,“lezioni di vita”, sarebbe vissuta. Dalle rovine di Auschwitz era iniziato un cammino che l’avrebbe portata alle glorie del mondo, trasformata nel simbolo del bene che vince sul male. Anche discussa sarebbe stata per aver voluto perdonare i nazisti, per aver fatto del perdono un modo per dare ai colpevoli la possibilità di redimersi e alle vittime quella di mettere da parte l’odio. Più volte lo aveva spiegato, non sempre era stata capita. I figli avrebbero continuato a farlo, avrebbero continuato la sua missione quasi fosse la sua unica eredità.

                                                                                                               Antonio Stanca