di Antonio Stanca

Giornalista, lettore e traduttore di testi sacri di diverse religioni e lingue, poeta e scrittore è Erri De Luca. Di sessantanove anni, è nato a Napoli nel 1950 e in molte direzioni si è mosso dopo aver abbandonato gli studi e prima di arrivare alla scrittura. Negli anni ’70 aveva fatto parte del movimento estremista “Lotta Continua”, aveva poi svolto diversi mestieri in Italia e all’estero e tutto mentre si dedicava con passione e assiduità allo studio di antiche religioni, all’apprendimento di lingue straniere ed alla scrittura di opere che sarebbero rimaste a lungo senza pubblicazione. La prima pubblicata sarebbe stata Non ora, non qui, romanzo comparso nel 1989 e seguito da una serie interminabile di pubblicazioni. Autore molto prolifico si sarebbe rivelato De Luca, avrebbe avuto traduzioni in lingue straniere e notevoli riconoscimenti.

Più che la poesia o il teatro sarebbe stata la narrativa ad assorbire la maggior parte dei suoi interessi. I racconti e i romanzi sarebbero stati da lui preferiti ad ogni altro genere. In essi gli è sembrato di riuscire meglio a rappresentare quei casi della vita che così importanti sono per lui, quei tempi, quei luoghi che li hanno visti, quelle persone che li hanno vissuti, quei significati che hanno assunto, quei ricordi che hanno lasciato. Di vita scrive generalmente De Luca, delle situazioni, delle circostanze, delle vicende, delle persone che ad essa appartengono. E’ capace, però, lo scrittore di non rimanere nella dimensione reale ma di salire ad una ideale, di trasformare un evento in una storia immaginaria, di costruirla in modo da procurarle valori più ampi, da ricavarne significati più estesi. Oltre il livello della realtà va De Luca in ogni sua narrazione, nell’idealità si trasferisce. Trascende quanto rappresentato perché valga di più, valga per tutti, valga per sempre, perché finisca di essere cronaca e diventi arte.

Così fa pure ne Il peso della farfalla, due racconti del 2009 che ad Aprile del 2018 hanno avuto la terza edizione presso la casa editrice Feltrinelli di Milano.

Nel primo, Il peso della farfalla, De Luca torna ad un ambiente, la montagna, che ricorre in lui. Come altrove anche qui la montagna si trasforma in un posto da favola tante sono le meraviglie, le particolarità, i misteri che l’autore le attribuisce, tanta la vita, vecchia e nuova, che le appartiene. In montagna tutto è allo stato puro, niente delle sue rocce, delle sue acque, delle sue piante, dei suoi animali è stato guastato. E accanto a questo stavolta c’è un uomo che in una grotta vive solo da tanto tempo. Anche lui fa parte della montagna ma nei modi del “ladro di bestiame”: dalla sua caccia di frodo ricava di che vivere. Ha pochi contatti con il paese vicino, è stato un solitario, si è rafforzato, si è indurito in questo tipo di vita, conosce la montagna meglio degli animali che vi abitano, meglio di loro si muove tra dirupi, strapiombi, burroni, torrenti, boschi, vallate. Ma ormai è invecchiato, ha cominciato ad avere problemi ed è pure invecchiato quel capobranco dei camosci al quale da anni fa la caccia. Anche lui è stato un solitario, anche lui vuole combattere con quell’uomo che gli ha ucciso la madre e i fratelli. Finirà vittima dello scontro ma da lì a poco finirà pure la vita del cacciatore e il racconto del De Luca si mostrerà capace di tanti insegnamenti, di tante verità, farà dei due protagonisti gli esempi, i simboli di quella vita eternamente percorsa dal bene e dal male, eternamente divisa, in lotta tra i due elementi, inutilmente protesa a risolvere il conflitto. 

Anche nell’altro racconto, Visita a un albero, si risale da una situazione reale, un albero che dopo essere stato colpito da un fulmine ha continuato a crescere sul limite estremo di un dirupo, ad una ideale, dalla visita che il narratore dice di compiere ogni anno a quell’albero al significato che essa assume di rapporto, di scambio, di comunicazione tra lui e un elemento della natura così ben radicato da resistere alla violenza dei fulmini, da poter essere preso ad esempio della forza, della potenza della divinità, della sua invincibilità. Un modo diventa quell’albero perché chi lo visita s’incontri con Dio, perché stia con lui, parli con lui e come lui non abbia paura del male. Come lui resista al male che stavolta ha preso le forme del fulmine. Due favole sono diventati i due racconti. Come nelle favole esteso, immenso è diventato il loro significato. Dal finito all’eterno, dall’umano al divino è andato. Alle origini vuole tornare De Luca. Annullare vuole quanto è sopraggiunto col tempo. Il peccato vuole cancellare e riprendere l’innocenza perduta. Risoluta, lapidaria è la sua scrittura, suggestivo, affascinante il suo messaggio, ma…!

Antonio Stanca