di Antonio Stanca –

È nata a Portland nel 1956, è laureata in Letteratura Inglese e in Giurisprudenza, ha insegnato presso il Manhattan Community College e la Colgate University, ha vinto molti premi per la narrativa, nel 2009, con la raccolta di racconti a forma di romanzo Olive Kitteridge, ha ricevuto il Premio Pulitzer e nel 2010 con la stessa opera il Premio Bancarella. Una serie televisiva è stata tratta da Olive Kitteridge.

Vive tra il Maine e New York, ha sessantadue anni, è sposata ed ha una figlia: si chiama Elizabeth Strout ed è considerata una delle maggiori scrittrici americane contemporanee perché eccezionale risulta la sua capacità di costruire, nei romanzi in particolare, vicende nelle quali molte sono le presenze, molte le voci, passate e presenti, vecchie e nuove, vicine e lontane, vere e non, e tutte sono così abilmente sistemate da non confondersi mai, da scorrerecon ordine, da non sovrapporsi, da mostrare ognuna il proprio significato, da perseguire tutte un senso unico, un unico scopo. E’ questo il segno del vero scrittore, di quello che è così sicuro di come disporre i contenuti dell’opera da riuscire a farlo tramite un’esposizione semplice, lineare, tramite parole facili, chiare.

Autrice di racconti e romanzi è soprattutto in questi ultimi che riesce a mostrare le sue capacità. Così succede in Mi chiamo Lucy Barton, romanzo pubblicato nel 2016 e nel 2017 comparso in Italia per conto della Einaudi con la traduzione di Susanna Basso.

Nell’opera la Strout immagina di essere stata per un lungo periodo in ospedale a causa delle complicazioni di un’appendicite e di aver ricevuto la visita inaspettata di sua madre. Non la vedeva da molto tempo, non sapeva niente di lei né del padre, del fratello e della sorella. La madre, nei cinque giorni della sua visita, la informa delle loro condizioni, le dicedel padre sempre collerico, sempre chiassoso,del fratello ancora scapolo e forse omosessuale,della sorella sposata.Le loro condizioni non sono tra le migliori. La loro famiglia era stata povera ma ora c’erano le possibilità perché godessero di una certa agiatezza se non fossero intervenuti, quasi in continuazione, altri fattori. Non solo di questo, però, parlano le due donne, i loro discorsi spaziano tra i ricordi di vicende, avvenimenti che hanno riguardato persone a loro vicine o lontane o l’intera popolazione dei posti dove hanno abitato. Di ognuna di quelle persone, di ognuna di quelle popolazioni viene ricostruita la storia, ognuna entra a far parte di un contesto più ampio nel quale il passato e il presente si compongono con la facilità, la chiarezza proprie di uno scambio, di un dialogo tra due donne comuni quali appunto una madre e una figlia.

Niente complica, niente impedisce i loro ricordi, i loro discorsi, le loro osservazioni, le loro contrarietà; tutto quanto può far parte di un dialogo durato cinque giorni e carico di rivelazioni, confidenze, discussioni, costituisce la trama dell’opera. E’ una rivisitazione dei fatti loro e degli altri quella che le due donne compiono all’insegna di quel buon senso che a volte è mancato prima e che emerge poi. E’ la storia loro e quella dell’America più recente, più nuova, quella della loro America, a scorrere tramite il loro dialogo, è la storia della loro famiglia e di quant’altro, tra persone e cose, vi è passato accanto. Cosìla Strout ripercorre tanta vita, tanti personaggi, tanti eventi senza, però, lasciarli ad un livello di sola cronaca. Di ognuno di essi fa emergere il significato, ad ognuno attribuisce una funzione in modo da riportarela loro varietàa quell’unità, a quella verità, a quella moralitàdi principi che persegue e per i quali ha scritto l’opera.

Brava è stata più delle altre volte ché più facile è statoil suo linguaggio, più semplice la situazione immaginata.

Un’analisi delle persone e dei tempi compie la Strout con il romanzo, un compito importante svolge e lo fa senza affaticarsi e senza affaticare chi legge.

Antonio Stanca