De Cataldo, la funzione della scrittura
di Antonio Stanca –
Allegato a La Stampa e la Repubblica è uscito di recente nella serie “Mistero Noir”, su licenza Einaudi, Il suo freddo pianto, un romanzo poliziesco di Giancarlo De Cataldo. Risale a pochi anni addietro e già allora era stato ben accolto dal pubblico e dalla critica.
De Cataldo è nato a Taranto nel 1956, vive a Roma dal 1974, da quando aveva cominciato a frequentare la Facoltà di Giurisprudenza. Laureatosi, era diventato Magistrato. Anche giornalista, saggista, traduttore, autore di testi teatrali e televisivi, scrittore di romanzi e racconti sarebbe stato soprattutto dopo aver smesso con l’attività giudiziaria. Aveva conosciuto il successo nel 2002 con Romanzo criminale, un poliziesco dal quale sarebbero stati tratti un film e una serie TV. Sarebbero venuti altri romanzi gialli compresi quelli della serie dedicata al procuratore Manrico Spinori. È questo il genere letterario al quale De Cataldo si è mostrato particolarmente incline. Ad orientarlo può aver contribuito il suo lavoro di giudice anche se abbastanza distinte sono rimaste le due attività e completamente autonoma è risultata quella dello scrittore. Piace il De Cataldo che scrive gialli sia per i contenuti che non si riducono all’evento criminale ma si estendono fino a comprendere tutta la vita, tutta la storia che c’è stata e c’è intorno, sia per la forma espressiva tanto vicina al parlato, tanto animata, tanto carica di effetti da assumere i toni di uno scambio diretto, di una lunga confidenza, di una chiacchierata alla quale non manca una notevole carica umoristica. Sono le qualità che hanno fatto del De Cataldo uno scrittore noto, ammirato, seguito. Dal lontano 2002 il successo non si è fermato, è tra i protagonisti dell’attuale nostra produzione narrativa.
Alla serie di Manrico Spinori appartiene Il suo freddo pianto. Spinori è uno dei personaggi prediletti dal De Cataldo poiché non rigido, non esclusivo nel suo lavoro, nella sua vita ma esposto a dubbi, incertezze, sospetti, mai completamente convinto, mai finito nei suoi pensieri, nelle sue azioni. Lavora nella Procura di Roma, ufficio che ha sede, insieme a molti altri, presso il Tribunale nella zona riservata ai servizi di polizia. È il capo, il dirigente della Procura, dispone di un certo numero di collaboratori e soprattutto di collaboratrici. È immerso in un movimento che non conosce soste, quello che può richiedere una Procura e quanto vi è annesso in una città come Roma. Spinori è perennemente diviso tra superiori e dipendenti, tra ordini da eseguire e altri da dare, tra chiamate, avvisi, convocazioni, interrogatori, indagini, valutazioni, sostituzioni. Vive con la madre, un’aristocratica dei vecchi tempi, che ama il gioco delle carte, lo pratica con le amiche e perde in continuazione. Con lei c’è il figlio che dalla moglie si è separato da tempo e ama ritrovarsi con le amiche di una volta, fermarsi con loro senza mai decidere con quale farlo per sempre. È un incerto, un indeciso, è perseguitato da sensi di colpa, pentimenti, rimorsi e per questo succederà che una semplice parola ascoltata, un vago accenno percepito gli faccia pensare di aver sbagliato circa un caso giudiziario da lui curato dieci anni prima e allora concluso. Penserà di aver punito degli innocenti, di non aver scoperto la verità e vorrà riaprire il caso. Lo farà, rimetterà in moto tutto quanto vi era collegato, assegnerà nuovi compiti a tutti i collaboratori, riprenderà l’indagine, tornerà su quanto era allora accaduto, non trascurerà nessun particolare e di tutto questo movimento, delle persone, delle situazioni, dei luoghi, dei tempi, di tutto quanto vi aveva fatto parte ed ora è stato ripreso dirà il romanzo del De Cataldo. Di come Spinori stia facendo lavorare tanto personale, di quanti uffici stia impegnando senza che compaia alcun segnale utile a modificare la vecchia sentenza. Si andrà avanti per molto tempo, l’intera narrazione passerà sempre da prima a dopo, si muoverà tra passato e presente, tra quanto era successo e quanto sta succedendo, rifletterà l’inquietudine di uno Spinori ossessionato dal pensiero di aver sbagliato, di essere stato ingiusto. Non riesce a darsi pace nonostante le nuove ricerche non portino a nessun’altra verità. Quando, però, tutto sembrava inutile, quando ci si stava rassegnando al fallimento di un’impresa che era diventata imponente per i mezzi e i modi usati, succederà che un semplice caso porti a rivelazioni impreviste, faccia affiorare verità rimaste fuori da ogni sospetto. Quel vecchio crimine non era isolato ma collegato con la malavita organizzata che agiva su scala mondiale. Dietro quanto era apparso si nascondeva molto altro, si nascondevano i veri colpevoli. Solo ora erano stati scoperti, identificati e condannati.
Spinori ce l’aveva fatta, aveva fatto giustizia, come altre volte era riuscito, si era confermato quell’eroe positivo tanto amato dal suo autore. In effetti è questa l’aspirazione, questo l’ideale del De Cataldo scrittore di romanzi polizieschi: far vedere quant’altra verità ci può essere oltre l’apparenza, come è possibile giungervi, quanto è utile la sua conoscenza. È una lezione quella che vuole trasmettere tramite il suo personaggio, una lezione di vita. Vuole mostrare quanto sia diventato necessario distinguere il vero dal falso in tempi come quelli attuali dove niente sembra esserci di sicuro, di definitivo. Impegnato risulta questo autore a perseguire principi di carattere morale, valori a sfondo sociale, a proporre esempi di virtù in un tempo guastato dal vizio, ad affidare alla scrittura una funzione di correzione, di risanamento del costume diffuso.
Antonio Stanca
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