di Antonio Stanca –

Sellerio ha ristampato, a Febbraio di quest’anno, Perché sono comunista del noto studioso italiano Concetto Marchesi (Catania 1878-Roma 1957). L’opera risale al 1956 e contiene i testi di tre conferenze tenute dall’autore in circostanze diverse. Lo storico Luciano Canfora ha curato la ristampa e in un’ampia introduzione ha illustrato la figura del Marchesi, la sua complessità. Illuminante è stato, è riuscito a risolvere i tanti problemi che sempre insorgono quando ci si chiede come ha fatto Marchesi a conciliare lo studio con la politica, l’attività di docente di Letteratura Latina, prima presso licei poi presso Università, con quella di membro del Partito Comunista Italiano, di deputato o incaricato di altri compiti. In effetti ha trovato tempo e spazio per tutto, era inesauribile nella sua applicazione. Già da ragazzo, a scuola, aveva mostrato interessi che andavano oltre quelli dello studio.

Quando è morto aveva settantanove anni, tre anni prima aveva lasciato l’Università di Padova dove era stato docente e rettore. Anche in altre Università aveva insegnato. Molte erano state le sue pubblicazioni. La sua Storia della Letteratura Latina in due volumi,degli anni 1925-27,era risultata la migliore.

Non disdegnava, però, il professore Marchesi i rapporti, gli scambi con ambienti, personaggi, eventi di quella sinistra che allora in Italia andava prendendo corpo, si andava costituendo in quel partito politico che la Chiesa, la monarchia, il Fascismo avversavano e ostacolavano. In questi frangenti si era trovato a vivere Marchesi, nel periodo compreso tra ‘800 e ‘900 era avvenuta la formazione, la definizione della sua fede politica. Veramente i primi segni risalivano a molto lontano, a quando bambino, in Sicilia, aveva visto come venivano sfruttati nelle campagne i braccianti. D’allora si era riproposto, si era convinto che bisognava aiutare gli operai, i lavoratori, che si dovevano assicurare loro i diritti, i vantaggi di ogni moderno cittadino. Era venuta da quelle immagini di povertà, di miseria, la volontà di correggerle, riscattarle, la convinzione che si poteva, si doveva fare qualcosa e che la politica rappresentava il modo migliore per ottenerla. Non era stato facile far rientrare questi impegni tra gli altri della sua vita ma ci era riuscito: lo studioso sarebbe stato anche un politico, Marchesi si sarebbe mosso non solo tra le aule delle scuole e delle Università ma anche tra le sezioni del Partito Comunista, tra i rappresentanti, le manifestazioni di questo, tra capi di governo, di Stato, tra deputati, deputato sarebbe stato.

Era un acceso spirito umanistico il suo, erano principi, valori di carattere morale, civile, sociale quelli che muovevano lo studioso e il politico, era un bisogno di umanità e non poteva rimanere limitato entro i confini di un uomo, di un tempo, di un luogo poiché tendeva a propagarsi, estendersi, passare ad altri uomini, altri tempi, altri luoghi. Come nell’attività culturale anche in quella politica Marchesi cercava valori, significati che andassero oltre la contingenza e diventassero idea. Sono i temi che emergono dalle tre conferenze contenute nel libro. Una, La persona umana nel Comunismo, risale al 1945, le altre due, Perché sono comunista e Testamento politico, al 1956, un anno prima della morte.

In tutte è possibile cogliere la disposizione morale, spirituale del Marchesi, la sua carica emotiva, la sua partecipazione umana: parla di politica ed è come se lo stesse facendo per una fede religiosa, per un bisogno dell’anima. Ideali erano state le ragioni che lo avevano fatto diventare comunista, quelle che emergono dai tre interventi. Vi dice pure di situazioni, vicende realmente vissute, di azioni concrete, di quanto gli è successo ma soprattutto di quanto ha sentito, pensato, perseguito. In questi discorsi risaltano le idee, in particolare quelle che identificano il Comunismo con un processo destinato a non fermarsi, ad evolversi, rinnovarsi. Non un sistema finito, concluso è il Comunismo, per Marchesi, ma un movimento continuo, non una dottrina stabilita, lontana, non una regola fissata ma un programma disposto a modificarsi. Non rimane fuori dalla vita ma come questa, con questa avanza, si sviluppa, cambia.

Solo da un umanista, da un classicista come Marchesi poteva venire una simile concezione del Comunismo: lo ha identificato con la vita e così lo ha vissuto e praticato!

Antonio Stanca