“Andromeda”di M.G. Palazzo, poesia dell’attesa e della speranza
di Marcello Buttazzo
Andromeda è la galassia più lontana visibile da occhi umani senza l’ausilio di strumenti di osservazione. Andromeda aspetta di brillare, si fa nuova. La bellezza deve osare ed attraversare ogni distanza. Maria Grazia Palazzo, avvocatessa, insegnante, poetessa, nata in valle d’Itria, ha dato di recente alle stampe, per i Quaderni del Bardo di Stefano Donno, il poemetto “Andromeda”. Ho incontrato, tempo fa, Maria Grazia, al Fondo Verri di Lecce, e sono rimasto favorevolmente impressionato dalla sua soavità, dalla benevolenza, dall’accoglienza umana, dalla gentilezza. Quella sera declamò, in compagnia di Mauro Marino, i suoi versi eleganti, ricercati. Versi palpabili d’amore e di profondo impegno civile, che sanno evocare figure di donne mitologiche e contemporanee. Un poema ambizioso e attualissimo, “Andromeda”, pensato e strutturato anche per la dizione teatrale. Un poema che arde di bellezza e di dolore, soprattutto in questi giorni, in cui alcune congiunture e piattaforme europee, internazionali e nazionali, sulle politiche immigratorie, sono deficitarie, se non incattivite.
Indubitabilmente, la silloge poetica di Maria Grazia Palazzo è declinata al femminile (ma non solo). L’Autrice fa riferimento alla dignità di tutte le donne (di ogni epoca) alfine di bandire prigionia, silenzio, mascheramenti. In attesa di rinascere. Una voce potente (di intensa poesia) si leva come urlo a sollecitare le donne (di tutte le epoche) a non avere paura della sofferenza, del male sospeso e imprigionato. Maria Grazia le invoglia ad andare incontro alla liberazione. La poetessa, che conosce il travaglio, le lacrime (e le sa consolare), esorta il femminile all’avvento d’una nuova creazione di Adamo e di Eva, ma senza derive sessiste. Come ha opportunamente rilevato Diana Battaggia, nella bella prefazione, “Maria Grazia Palazzo non incita al conflitto”. In effetti, con il maschile non è necessario scontrarsi. “Maschile e femminile si tengono per mano, si guardano negli occhi”. È bene, ovviamente, mantenere sempre vive le differenze di genere, nel rispetto contegnoso e reciproco. Epperò in Maria Grazia, che è donna coltissima, studiosa dei diritti umani e delle religioni, c’è la fondata consapevolezza che in ciascun essere umano (indipendentemente dall’appartenenza di genere) sopravvivono le due istanze (maschile e femminile). Ognuna delle quali ha funzioni precise e precipue. Dalla lettura di “Andromeda”, ho avuto la fortissima sensazione di trovarmi al cospetto d’una poesia multietnica. Tutti i gruppi etnici hanno pari dignità e diritto comunitario di cittadinanza. C’è in “Andromeda” il desiderio da parte dell’Autrice di abbracciare, di avviluppare amorevolmente gli ultimi della terra e l’umanità ferita. C’è troppa gente, a diverse latitudini, ostaggio dei potenti. C’è troppa gente, vittima sacrificale di risoluzioni discutibili. La violenza contro i più diseredati, contro i più fragili, è vero, è primordiale; purtuttavia sussiste, ferrigna e insanguinata, anche nelle epoche moderne.
Quella di Maria Grazie è poesia dell’attesa, della speranza. Lei agogna per gli esseri umani violati una cittadinanza piena, consapevole. Leggere “Andromeda” mi ha aperto un caleidoscopio di scenari. Come flash tante questioni mi sono venute incontro, mi hanno stimolato il pensiero. L’Autrice denuncia, fra le altre cose, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in un’era attuale in cui l’economia è sovrana e padrona e predetermina destini. Maria Grazia preconizza il riscatto degli umili, pur nello sconforto contemporaneo.
In un’Europa insensibile al flusso dei migranti, meno male che ci sono i poeti, le poetesse, che sanno cantare l’orrido del periplo ferale. Poetesse come Maria Grazia, che rammemorano evangelicamente: “Ero straniero e non mi avete accolto”. Il canto accorato della poetessa conosce bene le vittime e i carnefici. La sua simpatia e l’amore vanno, ovviamente, di diritto alle persone sfruttate, che hanno subito secoli e secoli di angherie e di soprusi. Non c’è alcuna ancora di salvezza per gli aguzzini, per i potenti e per i prepotenti, che piegano la quotidianità, ne fanno strame e profitto. “Andromeda” non è solo un impietoso canto contro le palesi ingiustizie del mondo: è anche un vivido inno alle nuove e ferventi aurore da far barbagliare. Tutti insieme, ebrei, musulmani, cristiani, un giorno, potremo rinascere, uniti, per un cammino di pace.
Marcello Buttazzo
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