Alan Bennett dice che…
di Antonio Stanca – L’inglese Alan Bennett ha ottantatré anni, è nato nel 1934 a Leeds, Yorkshire, ha compiuto gli studi a Cambridge, si è laureato a Oxford, è stato docente universitario ma poi ha lasciato per dedicarsi all’attività di attore, lettore, sceneggiatore, regista nel cinema e nella televisione e contemporaneamente a quella di scrittore e commediografo. Molti romanzi, racconti ha scritto, molte commedie e spesso le sue opere sono state trasferite sullo schermo, operazione alla quale ha partecipato lui stesso. Vasta e varia è stata l’attività del Bennett, personaggio, autore molto noto è stato in Inghilterra, molto seguito è risultato il suo teatro, molto apprezzata la sua produzione narrativa poiché, sia in un modo sia nell’altro, è riuscito a mettere in evidenza, anche tramite una buona dose di umorismo, quanto manca nella vita di tutti i giorni, quante persone sono private dei bisogni più elementari e senza che se ne accorgano, senza che mai ne parlino giungono al termine della loro esistenza dopo averla condotta in uno stato di perenne insoddisfazione, di mancata realizzazione di quel che avrebbero voluto. In genere non si tratta di grandi aspirazioni né di persone eccezionali bensì di persone comuni che per problemi interiori o per situazioni che si sono create indipendentemente dalla loro volontà, non sono riuscite ad avere, a provare, a sentire, a vivere quel che volevano e che non era diverso da quanto gli altri, molti altri, tutti avevano, provavano, sentivano, vivevano. Erano rimaste fuori, escluse dalle diffuse condizioni di vita quelle persone, non erano rientrate nel sistema. Non erano state contente, soddisfatte della loro esistenza ed era bastato poco perché si accorgessero di ciò che sarebbe servito per farle star bene. Era bastata una circostanza insolita, imprevista a far loro capire come sarebbe stato possibile evitare tanto disagio.
Emblematico di tale condizione umana, significativo del proposito di Bennett di farne motivo di letteratura e di teatro, è il racconto da lui pubblicato nel 1996 col titolo Nudi e crudi ed ora ristampato dalla Adelphi di Milano con la traduzione di Giulia Arborio Mella e Claudia Valeria Letizia.
L’opera è ambientata nell’Inghilterra della fine del Novecento e tratta dei coniugi Ransome che risiedono a Naseby Mansions, non lontano dalla City, dove lui svolge l’attività di avvocato. Lei vive in casa, una bella casa nei pressi di Regent’s Park. Non hanno figli e poche, molto poche, sono le relazioni che intrattengono con parenti o amici, altrettanto poche le loro uscite. Lei, Rosemary, è stata annullata dalla figura di lui, Maurice, ha accettato di rimanere in secondo piano, di seguire le sue indicazioni, di stare, pensare, parlare, vivere come lui voleva e nessuno dei due sembrava essersi accorto che la loro vita era condotta solamente in casa. Era la loro vita e da tempo!
In una situazione così monotona, così rigida, esplode il “caso”: una sera trovano la casa derubata di ogni cosa, anche dei più piccoli, più insignificanti oggetti. Si sentono “nudi e crudi” oltre che confusi e smarriti. L’indignazione di lui cresce nei giorni che seguono mentre lei comincia a vedere l’evento come una liberazione da quanto di continuo, di perenne, di ossessivo faceva ormai parte della sua vita, da tutte quelle cose, mobili ed altro, che segnavano ormai tuttii suoi giorni e li facevano sempre uguali. Ci vorrà del tempo perché si scopra cosa è successo. I coniugi Ransome ritroveranno i loro mobili e quant’altro era della loro casa, li riporteranno in questa ma scopriranno pure che durante il breve periodo della scomparsa degli arredi altri si sono serviti di essi, li hanno usati, hanno usato le loro stoviglie, si sono amati sul loro letto. Sarà questa scoperta a far capire a lei, Rosemary, quanto è sempre mancato nella sua vita coniugale.
È mancato il contatto, lo scambio, l’amore, compreso quello fisico,ed ora si proponeva di perseguirlo: se prima il furto l’aveva fatta sentire libera di tutto ciò che sempre l’aveva oppressa, ora si sente rinnovata dai propositi, dai piaceri che avrebbe cercato. Non li potrà, tuttavia, realizzare poiché Maurice morirà ma intanto con lei Bennett ha indicato un modo per risolvere certe situazioni.
Secondo lo scrittorequesto modo può permettere ad una persona, eternamente privata di quanto avrebbe avuto bisogno, di colmare simile mancanza, di non fargliela considerare definitiva.
Molto originale è il racconto di Bennett, molto ben costruito, molto divertente ché tanto è l’umorismo che lo percorre, ma anche molto profondo è il suo significato.
Antonio Stanca – 13 agosto 2017
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