Speriamo Bene! L’Orchestra di Lecce e del Salento nella casa del Teatro Apollo
di Mauro Marino –
Speriamo “Bene”: il Salento ha una nuova Orchestra! Anzi no: i maestri di quella che era l’Orchestra Sinfonica della Provincia di Lecce, titolata poi a Tito Schipa con l’acquisizione della qualifica ICO, sono adesso riuniti in cooperativa, hanno fondato una loro orchestra con l’obiettivo di salvaguardare un patrimonio musicale costruito in quarant’anni di attività concertistica e operistica. Una sorta di “autogestione”, di presa in carico del proprio destino umano e artistico. Non ci sarà più bisogno di elargire l’assegno a consigli di amministrazione di nomina politica, il lavoro torna nelle competenze e c’è da rimboccarsi le maniche per tornare ad avere il riconoscimento ministeriale. Intanto, l’attività si è avviata grazie ad un finanziamento della Regione Puglia e cosa molto importante l’Orchestra di Lecce e del Salento (Oles l’acronimo), non avrà più bisogno di peregrinare in cerca di una sede per costruire la sua musica, la casa c’è, è il Teatro Apollo.
Un bel teatro, comprato dall’Amministrazione della Città di Lecce per volontà e piacere del sindaco Adriana Poli Bortone. Ci teneva tanto che voleva anche abbattere il Teatro Politeama per dare lustro al “suo” con la scusa di tirar fuori il fossato del Castello Carlo V.
Comprato sì, ma non tutto intero, una parte dello stabile è rimasta fuori dal concordato d’acquisto, chissà perché (?!). Può sembrare non importante ma in realtà è cosa molto grave. Un teatro è un corpo unico, una macchina concepita è strutturata secondo canoni di utilità e funzionalità per cui, non può perdere ciò che è stato costruito alle spalle del palcoscenico, lì ad esempio erano allocati i camerini, i sevizi e le utilità di scena, oggi il palco confina con la proprietà di un privato e prima o poi quel privato creerà problemi tipo: “Il volume è troppo alto, mi vibrano le pareti”. Ma, si sa, la nostra è la città della superficialità e del pressappochismo e se un “Sindaco” “decide” nessuno si mette a sindacare.
Ma forse è meglio tornare a parlare di musica e di una delle ultime produzioni della Oles, una perla, un vero e proprio biglietto per il futuro.
“Parlami! Parla, continua! Io vivo in questo suono”, nel chiaro ancora imbustato del Teatro Apollo, lo scorso mercoledì 22 novembre 2017 si sono palesate le molte voci di Carmelo Bene interprete, su banda sonora digitale, del suo “Manfred”.
L’orchestra è tutta composta sul proscenio, minimo lo spazio sul limine tanto che, i musicisti, sembrano caracollare in platea, una percezione amplificata poi, dai diversi posizionamenti del coro, nel corso del concerto.
In questa prossimità con il pubblico l’Orchestra Sinfonica di Lecce e del Salento ha celebrato e evocato la presenza di chi, in vita, è stato fautore dell’assenza, della scomparsa di se, di un teatro liberato di scene, costumi, luci, “non più messa in scena, ma abbagliante messa in voce”.
Ispirato dal poema drammatico di George Byron, il Lord del romanticismo inglese, Carmelo Bene se lo cuci addosso, traducendolo. La prima del Manfred si tenne nel 1978, a Milano, alla Scala.
CB fece “irruzione” nel tempio dell’Opera italiana “armato” di un impianto fonico, non era mai accaduto prima. Chissà con quanti watt inaugurò il suo periodo concertistico. Carmelo Bene è stato un grande consumatore di potenza fonica, ne aveva bisogno per esaltare la forza e la versatilità della sua voce-orchestra capace di saettare in alto con gli alti più alti per poi vertiginosamente venire giù fino al più lieve dei sussurri.
A Cursi, nella cava che lo ospitò per i “Canti Orfici”, nel 1992, di watt ne pretese un’infinità, la metà dell’impianto fu stesa sotto il palco per farlo vibrare così che, il maestro, si sentisse completamente avvolto dalla sua voce, tornava in pubblico, nel Salento, dopo anni di assenza, doveva esser chiaro, forte, diretto uscir fuori dallo sprofondo della terra con le parole di Dino Campana.
All’Apollo son bastate due casse, il giusto, per portare al pubblico la voce di Manfredi, quella del fantasma di Astarte (interpretata da una sempre sorprendente Carla Guido) e quelle degli spiriti che abitano quest’opera composita, definita dallo stesso Byron “folle, metafisica ed enigmatica”.
La musica è quella composta per il Manfred nel 1848 da Robert Schumann, un altro grande romantico; un’opera che trova accordo e compimento nel progetto della Oles. Il vero dono della serata è infatti l’Orchestra stessa e le sue scelte, l’indirizzo che la Oles si è dato mostrando una forte tensione contaminativa che lascia sperare ad un futuro di Teatro-Musica da alimentare con scelte ancora più coraggiose.
Non è stato semplice isolare la voce di Bene (ma il digitale, sappiamo, fa magie), renderla materia di uno spettacolo ancora vivo; uno spettacolo che in assenza del suo artefice, con questa nuova edizione meriterebbe più regia e certo una tournée. Rievocare, proporre la voce e la straordinaria cultura di Carmelo Bene pare un atto di sovversione, oggi, ma il teatro, è l’ultima enclave di resistenza alle mute derive dello spettacolo e chissà quanto pubblico è potenzialmente in attesa di poter risentire l’emozione del contatto con la voce, le voci di CB. Un lavoro utile anche per il Teatro Apollo, d’indirizzo, ancora una volta, sulla vocazione che un teatro nel contemporaneo deve avere… Magari tornando intero per poter divenire una vera residenza teatrale, insomma, speriamo Bene!
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