di Massimo Grecuccio –

Il Bitume Photofest, in corso all’Ex Convitto Palmieri (Lecce, 1-31 marzo), a differenza delle passate edizioni, è monotematico. Il focus è sulla fotografia del Giappone: un excursus lungo, dall’arrivo del medium fotografia in Giappone (intorno al 1860) ai giorni nostri. Positivo Diretto, il gruppo organizzatore, presenta un’esposizione versatile che si articola in tre sale; il filo che cuce i tre lembi è l’effimera durata delle cose, una nota acuta della sensibilità culturale giapponese. Un merito del gruppo è la grande cura della scritturadelle didascalie, delle schede informative (di alcune specificità culturali del Giappone), delle schede di presentazioni dei libri.

La sala più interna ospita la mostra Il linguaggio delle pietre: sulla via della seta, con fotografie di Ute Bruno e alcune sculture di pietre di Simone Franco, esponente salentino dello stonebalancing; tracce, le sculture, della performance avvenuta in questa sala il giorno della vernice (il 1 marzo), la creazione, in tempo reale, di diverse disposizioni bilanciate di pietre.

La stanza di mezzo ospita, invece, un’ampia esposizione (Mono No Aware) di fotografie all’albumina (una tecnica di stampa utilizzata dal 1850 al 1920 circa), tra cui anche alcune di Felice Beato, un fotografo italiano che ha contribuito alla diffusione della fotografia in Giappone (aprì, a Yokohama, nel 1864 il primo studio fotografico). Queste foto hanno un supporto molto sottile e un ingiallimento diffuso e in preminenza hanno un valore documentale con ricadute storiografiche e antropologiche: presentanoil Giappone dalla seconda metà del XIX secolo ai primi decenni del XX, tra impero dei segni e impero dei sensi. Tra i fiori, il teatro No e il teatro Kabuki, la lotta Sumo come forma d’arte, gli strumenti musicali, i ritratti in abiti tradizionali emerge – comela punta silente di un iceberg – la storia degli Ainu, la popolazione minoritaria del Giappone, ridotta a poche decine di migliaia di esseri, arrivata in Giappone prima della popolazione maggioritaria attuale, e confinata nella parte settentrionale dell’isola di Hokkaido.

Nella terza sala, la prima entrando a visitare la mostra, c’è l’esposizione (Photobook Stories) di una decina, o poco più, di libri fotografici di autori giapponesipubblicati in anni recenti. Originali i leggio-espositori sui quali sono esposti i libri (che si possono sfogliare!): piccole casette con armature e pannelli sottili di legno, che rimandano alla passione, tipicamente giapponese, per le case piccole e fatte di materiali leggeri. La generazione degli autori è la generazione degli anni ottanta del secolo scorso, con qualche sconfinamento nei novanta. Tutti autori giovani, quindi, con una predominanza di autrici. Il panorama è estremamente variegato: si coglie una grande tensione sperimentale. Indico qualcuno dei libri esposti: Toransupearento (Transparent), uscito nel 2014, di DaisureYokota, un libro di foto stampate su pellicola trasparente, che alterna pagine colorate a pagine bianche, dove le immagini sovrapponendosi oscillano tra l’astrazione e un’esistenza fantasmatica; Picture of my life, uscito nel 2016, di JunpeiUeda, l’elaborazione di un lutto (la perdita di entrambi i genitori, che uno dopo l’altro scelgono di togliersi la vita) durato 18 anni che diventa l’humus di un progetto dove l’alternanza di foto, appunti, disegni e pitture si muove tra disfacimenti e nuove composizioni; Bible, del 2014,di Momo Okabe (che definisce i suoi lavori paesaggi psicologici), in cui le immagini della distruzione provocate dallo tsunami del 2011 si mescolano ai ritratti e ai dettagli di vita di amici e/o amanti nel caos esistenziale della ricerca dell’identità di genere; RasenKaigan, uscito nel 2013, di LiekoShiga,(per me, il più bello dei libri esposti), il racconto lisergico(questo aggettivo è nella scheda che affianca il libro) di quattro anni dell’artistaconuna comunità di poco meno di 400 persone, in un piccolo villaggio nel Nord-Est del Giappone; qui, le fotografie sono gli sprazzi di luce o di nero di un inconscio-comunità.

I libri di autori giapponesi esposti a Bitume PhotoFest mi suscitano due domande; la prima posso formularla cosi: questi libri esprimono una specificità giapponese della fotografia? La seconda la dico senza punto di domanda: i gradienti dell’impermeabilità tra l’immagine e la parola e viceversa.

Lascio le domande – sospese – (come il caffè sospeso napoletano).

BITUME PHOTOFEST: EFFIMERO E MATERIA
Lecce, 1-31 marzo 2018
Ex Convitto palmieri
Lun-ven h. 11.00-13.00 / 17.00-20.00