di Paolo Vincenti –

Santa Chiara. Ropp’arrubata, facetter’e porte ‘e fierro.  È sempre la stessa storia del cancello del Monastero di Santa Chiara: dopo che rubarono nella basilica napoletana, ci misero un cancello. La commissione d’inchiesta sulle banche, presieduta dall’eterno revenant della politica Pierferdi Casin,  sa tanto di presa in giro, fumo negli occhi, pezza mediatica, così come l’improvvida sortita di Matteo Renzi sulla necessità di cambiare il governatore della Banca d’Italia Visco. È tipicamente italiano correre ai ripari quando ormai il danno è fatto. Dopo il fallimento delle banche marchigiane che rischia di ridurre sul lastrico migliaia di piccoli risparmiatori, dopo l’entrata in vigore dello sciagurato Bail- in, dopo l’incancrenirsi di una crisi economico finanziaria che ha devastato il ceto medio italiano, insomma, sempre dopo, chi ci governa cerca di correre ai ripari.  Ma trombare Visco e i vertici di Bankitalia, oppure Vegas e i vertici di Consob, per quanto giusto e necessario, avrebbe cambiato di molto le cose? Il problema degli organi di vigilanza nel nostro Paese è endemico. Le cosiddette Autorithy sono evanescenti, come denunciato da Sabino Cassese su “L’Economia” del Corriere della Sera del 9 ottobre 2017. È l’inerzia di un sistema, come sempre su “L’economia” del 23 ottobre scrive Francesco Daveri, che ci ha portato alla situazione attuale. Chi deve controllare non controlla e si rende necessario controllare il controllore. Ciò perché questi enti, in linea di massima, sono baracconi politici, dove i soloni che vi fanno parte non si impegnano più di tanto, e se non retribuiti, occupano quei posti per prestigio personale che comunque si traduce in un vantaggio professionale. Si sa che ogni governo deve distribuire incarichi e prebende a una nefanda colluvie di burocrati, super dirigenti privilegiati. Che dannati puzzoni, loro e chi li ha nominati.

Ho messo via. Il mondo è dei paradossi, si sa. Così, di fronte ad una immensa area del mondo sottosviluppata, che soffre guerre, denutrizione, calamità atmosferiche, cronica arretratezza, un’altra, meno grande parte del pianeta, vive nel benessere, in pace, nello sviluppo economico e per certe fasce minoritarie di popolazione addirittura nel lusso. Si suole indicare queste due macro aree genericamente come il sud del mondo, la prima, e l’occidente, la seconda. Nell’occidente prospero e industrializzato non manca chi, pur non facendo parte dei super ricchi, tuttavia non sa fare a meno del superfluo e vive al di sopra delle proprie possibilità. Liberarsi di quello che non serve, e non solo per fini umanitari, può diventare però un’esigenza, un gioco forza, a un dato momento della vita. Le circostanze varie e imprevedibili che ci coinvolgono possono metterci di fronte ad un tracollo economico, ad una temuta bancarotta, ad una separazione matrimoniale o divorzio, più semplicemente ad un trasloco. E dunque si impone l’occorrenza di liberare un po’ di posto, di fare spazio. Quella di rinunciare al superfluo diventa una vera e propria arte, spiegata (o insegnata, che dir si voglia) in libri e corsi di decluttering:  eliminare il superfluo per vivere meglio. Occorre organizzarsi, semplificarsi la vita, specie quando essa è un caos. Allora per non rischiare di annegare nel mare magnum del disordine e della confusione che regnano nella propria casa, bisogna prendere delle decisioni coraggiose per quanto dolorose. E nel mentre si fa ordine, buttar via tutte le cianfrusaglie che ingombravano scrivania, armadi, garage, ufficio. Far ordine fisicamente porta come conseguenza quella di mettere ordine nella propria testa, spesso affollata da pensieri che si ammassano nevroticamente, convulsamente, senza apparente rimedio. Il decluttering ci fa risparmiare tempo prezioso e, attraverso l’ordine fisico, agisce come propellente psicologico sulla nostra testa, che, sgombera da inutili pesi,  può respirare, lavorare meglio. Vada per lo scarto, dunque, e per la via della sostenibilità.

Paolo Vincenti