San Remo e la “canzone sociale”
di Antonio Stanca –
Il San Remo di quest’anno ha fatto parlare finora delle sue novità e qualità. Molti sono stati i giudizi di apprezzamento riguardo alle canzoni esibite, ai loro interpreti, ai loro autori. Si è messo in evidenza il carattere sociale di esse, il loro impegno a denunciare i problemi che attualmente travagliano la condizione individuale e collettiva, privata e pubblica degli italiani, problemi quali quelli della difficile situazione economica che il Paese sta attraversando, della disoccupazione, delle conseguenze dell’immigrazione e del diffuso malcostume.
Sono state ammirate in modo particolare quelle canzoni che con maggiore evidenza hanno trattato di questi problemi, sono state premiate e ci si è pure augurato che questo genere di canzone sia continuato, coltivato, che assuma il valore, la funzione di denuncia dei mali sociali, che liesprima e ne proclami la gravità. Potrebbe essere un modo, si è pensato, per ottenere una loro soluzione o almeno per sollecitarla.
Non si è pensato, però, che se di tutto questo si vuol fare motivo di cantoserve saper cantare, non basta gridare, urlare, non basta sbandierarlo come in una polemica qualunque e come appunto si è visto fare a San Remo tra il plauso di un pubblico ormai completamente preso dal rumore e dal piacere di farne parte.Non si è pensato che la musica, il canto sono espressioni d’arte, dello spirito, che, pur essendosi rinnovate, pur essendo state al passo con i tempi, pur avendo accolto i loro probleminon hanno mai perso la loro natura prima, il loro segno unico, quello, cioè, di andare oltrela realtà, di superarla in nome di un’idealità che rifiuta l’impurità, la volgarità. Non si è pensato che non si fa musica né canto quando la volgarità che si vuole combattere sta anche nei modi usati per farlo. Non si è pensato che differenza, distanza ci dev’essere tra le due dimensioni, che l’arte non può accettare di essere grido, urlo solo perché vuole essere sociale.
Non è la prima volta che la musica, il canto si sono impegnati a dire del male del mondo, a far riflettere su di esso ma lo hanno fatto con altri mezzi, in altri modi, quelli che erano i loro propri e che adesso, invece, sembrano non valere più, non essere più necessari.
Anche qui sta succedendo come altrove, come, cioè, nella produzione letteraria, figurativa, teatrale, cinematografica: ognuno crede di potervi accedere perché convinto è di poterlo fare a modo proprio. Sterminata, infinita è, quindi, diventata la serie di autori in ogni genere di espressione artistica. E’ una situazione allarmante poiché non si sa come arginarla, poiché, pur constatando che ne è derivata un’arte gravemente scaduta, la si continua, pur avvertendone la gravità, la si tollera.
Antonio Stanca
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