di Marcello Buttazzo –

Salviamo le edicole del cuore. Un ottimo atteggiamento culturale, civile, politico. Su “La Gazzetta del Mezzogiorno” (mercoledì 11 settembre) campeggiava la foto della edicola più antica di Bari, situata in via Piccinni (angolo via Sparano), gestita dalla signora Rosa Genchi. La rivoluzione tecnologica e liberale di Internet è stata una eccezionale conquista, perché ci ha permesso di accedere a dati, notizie, a documenti, a tutto il resto. Ci consente di scambiarli, ci mette in condizioni di condividere idee e pensamenti. Le edicole di quotidiani e settimanali e riviste, di fumetti, di figurine per le bambine e per i bambini sono fra le ultime roccaforti d’una cultura della cittadinanza attiva. Fino alla fine del secolo scorso, si usciva di casa per ritrovarsi nelle piazze, nei piazzali, per le vie dei quartieri. L’edicola rappresentava un luogo prediletto di incontro e di socializzazione delle conoscenze, laddove i cittadini avevano l’opportunità di restare connessi in una piazza reale, popolata e pulsante. Con tutti i benefici che potevano scaturire dall’incrociare de visu di persone, di amici, per poter parlare, per manifestare sentimenti, stati d’animo. Con l’avvento dirompente del web, il giornale cartaceo si legge molto poco. Intere generazioni di giovanissimi non comprano mai un quotidiano cartaceo da un’edicola. È un vero peccato ignorare la poesia d’inchiostro. L’edicola, nel secolo scorso, è stata catalizzatore di compartecipazione, un luogo dove scambiare, fra le altre cose, qualche chiacchera, un saluto. Ora, con il procedere vertiginoso di Internet le edicole, ultimi avamposti di cultura popolare, sono in crisi totale. Negli ultimi 15 anni, migliaia e migliaia di strutture hanno dovuto abbassare la saracinesca per una serie di motivi. Il giornalaio è un mestiere di fatica, di devozione, nei fatti senza ferie. Il giornalaio pratica orari impossibili. Ricordo che i miei genitori e mio fratello Emidio hanno avuto un’edicola in lamiera, in piazza San Vito a Lequile, già a partire dal 1973, comperata usata a rate dalla Tabacchiera di Roma. Rammento i sacrifici dei miei familiari per tirare in avanti la carretta, con aperture all’alba e chiusura alle 20. Senza mai un giorno di vacanza. Stavamo aperti anche a luglio e ad agosto. Unico riposo concesso, la chiusura per una decina di giorni nei pomeriggi e nelle sere più afose dell’estate. Le edicole stanno chiudendo non solo per colpa del progredire vorticoso del web, ma anche per palesi manchevolezze della classe politica italiana. Tutti i politici della Repubblica (di centrodestra e di centrosinistra) non hanno saputo mai addivenire ad una praticabile e logica legge sull’Editoria. Forse, in questi anni, andavano rimodulate e rivisitate tante cose. I guadagni al netto sui giornali sono da fame. La politica attiva è stata latitante, responsabile primaria della decadenza d’un settore che andava incoraggiato in vari modi. Noi cittadini poi siamo pigri. Pensiamo d’avere il mondo fra le mani manipolando computer, tablet, telefonini, ritenendo surrettiziamente di essere sempre connessi con l’universo mondo. Verosimilmente, dovremmo disconnetterci un pochino dalla piazza virtuale, per riacquistare il profumo di quella reale. Se le edicole continuano drammaticamente a chiudere, siamo tutti responsabili. In un tempo abnorme di dispersione, non possiamo stare tutto il giorno connessi o sconnessi emotivamente tramite la macchinetta tecnologica. A un certo punto, dovremmo uscire all’aperto per respirare barlumi di vita.

Marcello Buttazzo