Piccola lezione sul “gene” per il generale Vannacci
di marcello Buttazzo –
A volte (ma solo raramente) penso alle congetture dell’eurodeputato leghista Vannacci, ligio oltranzisticamente all’idea di identità nazionale. E, a quanto pare, il generalissimo è legatissimo anche alle concezioni relative alle caratteristiche somatiche del ceppo italico. Come se tale gruppo etnico- l’italico- fosse davvero “puro”, e non la risultante, la commistione d’un insieme di vari gruppi etnici (provenienti dalle più svariate millenarie migrazioni). Ora, un gruppo di ricerca internazionale guidato dalle Università di Firenze, di Bologna, di Siena, è riuscito a ricostruire la storia biologica di un bambino vissuto circa 17mila anni fa nel Sud Italia durante il Paleolitico superiore. La ricerca è stata pubblicata su Nature Communications e ha permesso di ricostruire il più antico genoma d’Italia, “rilevando significativi cambiamenti nella popolazione dell’Italia meridionale”. A volte (ma solo molto raramente), pensando a Roberto Vannacci, mi sovvengono alcune vecchie reminiscenze degli studi di biologia. Il gene, per definizione, è un tratto di Dna in grado di codificare un carattere. Carattere biologico, per carità. Gli adattamenti culturali sono tutt’altra cosa. Di certo, caro Vannacci, non esiste il gene della cosiddetta “normalità”. Come non esiste il gene del criminale, del delinquente. Parimenti, da un punto di vista strettamente culturale, è pressoché impossibile dare una definizione apodittica di “normalità”. Ne sanno qualcosa anche gli psichiatri, costretti a enucleare tassonomie per la necessità di dover somministrare farmaci per alcune patologie. A volte (ma solo sporadicamente) penso allo scrittore leghista Vannacci. Piuttosto che comprare i suoi argomentati libri, sempre ben disposti a “spiegare” “statisticamente” l’esistente, mi faccio una ricca giocata al gratta e vinci.
Marcello Buttazzo
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