di Marcello Buttazzo –

La regista Sibilla Barbieri, da dieci anni malata di cancro al seno, ormai in fase terminale, ha deciso di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera. La Asl Rm1 aveva negato la possibilità di accedere alla morte medicalmente assistita, perché pare che la donna non dipendesse da trattamenti di sostegno vitale. Tuttavia, però, secondo l’Associazione Luca Coscioni, Sibilla da ottobre era “dipendente da ossigenoterapia e farmaci per il dolore”. Vittorio Parpaglioni Barbieri, figlio della donna, ha accompagnato per l’ultimo viaggio la madre in Svizzera in compagnia dell’attivista radicale Marco Perduca. Vittorio Parpaglioni Barbieri, Perduca, Cappato si sono autodenunciati. Ora, indipendentemente dalle discussioni fitte e ontologiche sulla sacralità della vita umana e sulla eventuale disponibilità della stessa (in certuni casi), è evidente che in Italia esiste un grave vulnus legislativo. Dopo la sentenza 242 della Consulta (Cappato/Antoniani), le Regioni, con l’intervento di gruppi medici, di appositi comitati bioetici, possono aprire al suicidio assistito. È evidente, però, che dopo decenni di diatribe filosofiche, di latitanze della politica, si sarebbe dovuti intervenire nel nostro Paese con una opportuna e necessaria normativa sulla “dolce morte”. Di questi tempi sarà ancora più difficile e complicato solo discuterne. Con la destra al potere, con i paladini della “sacralità” della vita strumentale e propagandistica, che prescelgono a loro piacimento le grammatiche del vivente, non ci sarà alcuna legge laica e liberale sul “fine vita”. La regista Sibilla Barbieri, negli ultimi mesi della sua esistenza, ha prodotto con la giornalista Valentina Petrini un podcast, in cui s’appella al presidente della Repubblica Mattarella e al governo affinché si arrivi ad una legge. Così Sibilla conclude tristemente il suo video: “In Italia mi negano il suicidio assistito, ma nel mio caso una settimana in più non è vita, è solo una settimana in più di dolore”. Francesco Ognibene ha scritto su “Avvenire”: “La storia non è nuova. E così il suo drammatico esito. Un malato affetto da una patologia grave e inguaribile chiede di poter accedere al suicidio assistito. Anziché rivolgersi a qualcuno che lo orienta verso un percorso di cure palliative e terapia del dolore trova chi della morte volontaria ha fatto la sua missione politica”. La questione così posta è sbagliatissima. Per intanto, in Italia, le cure palliative non sono molto sponsorizzate e incoraggiate istituzionalmente. Inoltre, in alcuni casi di devastazione fisica e psicologica, per un male incurabile irreversibile, le cure palliative non sempre sono strettamente e significativamente efficaci. E poi, caro Francesco Ognibene, non si può disattendere l’autodeterminazione del soggetto, la sua autonomia morale. La libertà di scelta del paziente, in casi estremi, non può essere elusa da manie confessionali.

Marcello Buttazzo