di Marcello Buttazzo –

Quante volte in preda ad un profondo travaglio, ad un atroce dolore, abbiamo pensato di arrenderci e di ammainare le bandiere? Quante volte al cospetto della bruciante sconfitta, abbiamo ritenuto di ritirarci nel nostro fortino di silenzio? Quante volte dinanzi alla perdita affettiva, ci siamo surrettiziamente puniti e caricati di inutili sensi di colpa? Quante volte ci siamo sconfortati, siamo precipitati nelle sabbie mobili dell’annullamento, dell’annichilimento esistenziale, allorquando la morte d’una persona amata ci ha dilacerato l’anima, insanguinato il cuore? Ma siamo esseri umani, siamo persone con un innato sentimento di conservazione. Quando tutto crolla e l’edificio si sbriciola, possiamo sempre rinascere e rifiorire a nuova vita. Dopo la lunga notte, ritorna sempre l’aurora coi suoi bagliori, per nostra contentezza. Dopo aver vissuto un tetro buio interiore, non è facile tornare a respirare, a bere sorsi di vita. Ciascuno di noi è ligio a paradigmi e comportamenti ben precisi, ciascuno di noi ha visioni morali codificate, ciascuno di noi segue i suoi tempi, i suoi spazi. Epperò, siamo tutti uomini e donne in cerca della buona stella e d’una pace intima, che non sia stasi, ma sommovimento d’amore. Siamo individui. E come tali sappiamo dare significanza all’esistenza, proprio perché abbiamo traversato le turbolenze, le mestizie, i patemi. E d’ogni afflizione, con lo spirito rinfrancato e risanato, sappiamo fare ipotenuse di sole. Siamo individui. Abbiamo conosciuto tutte le tempeste del mondo. E proprio per questo sappiamo apprezzare le piccole gioie, i minuscoli piaceri. Dobbiamo essere lieti e gioire per i nostri affetti, per le amicizie, per la compartecipazione, per la condivisione. Siamo persone. E proprio per questo, dopo periodi di angustie e disagi, siamo sempre in tempo per ricominciare, per riprenderci la vita. È benevola, la vita, ci sa aspettare ai bordi delle strade. Ci sa attendere, la vita, con le sue luci, con i crepuscoli serafici, con le sue notti silenziose. Con le sue aurore frementi e di sogno. Sulle tematiche del “ricominciare, nascere, credere” ho letto sull’”Avvenire” (martedì 12 dicembre), nel “Vangelo delle briciole”, un mattinale stupendo del poeta e teologo José Tolentino Mendonca, che riporto integralmente:

“Siamo ancora in tempo per nascere, e ciò costituisce il dono più sorprendente: l’arte di ricominciare. È importante ricordare a noi stessi che le modalità del ricominciare non sono standardizzate, e che anzi è bene che sia così. In fondo, non interessa far dipendere la possibilità dei nostri nuovi inizi dal grado di facilità. Nuovi inizi difficili non vuol dire necessariamente nuovi inizi impossibili o, in qualche modo, fuori portata. C’è un dono in quelle stagioni in cui la vita si snoda in trasparenza, si muove in armonia, e tutto viene abilmente a coincidere. Ma non ci tufferemmo con passione a toccare la sostanza della vita se non arrivassimo a cogliere anche ciò che rivelano, per esempio, i ritardi, le fatiche, le molteplici sfaccettature della vulnerabilità, o le ferite stesse. Una delle cose più preziose della nostra traiettoria spirituale è la certezza che siamo sempre in tempo per ricominciare. Ogni ciclo, ogni stagione, ogni istante ci pone davanti al dovere di testimoniarlo. Beati quelli che con audacia si arrischiano a vivere così, anche quando il calcolo delle probabilità si mostra avverso. Sono quelli che, prima o poi, smentiscono i fatalismi e diventano le levatrici di un miracolo. Quel miracolo che fa equivalere il verbo “ricominciare” a una sorta di nascita. E che fa equivalere il verbo “nascere” al credere”.