di Marcello Buttazzo –

In Iran, dopo la morte di Mahsa Amini, deceduta a 22 anni in seguito ai maltrattamenti della polizia morale, i giovani, le giovani, gli attivisti, gli intellettuali si stanno mobilitando, sfidando la ferocia del regime. Ma i risultati, al momento, sono terrificanti, raccapriccianti. In 100 giorni di protesta, le criminali forze di sicurezza hanno ucciso più di 506 persone. Da settembre, più di 70 giornalisti sono finiti in prigione. Ma ciò che atterrisce, più d’ogni cosa, sono le notizie sugli arrestati, vittime di abusi e violenze. E, in specie, dolorosamente, i condannati a morte, senza regolari processi, in nome d’una ottusa e assassina giustizia sommaria. Il boia è operativo contro i rivoltosi. I patiboli vengono allestiti sovente in piazza, con una simbologia truce e meschina, perché bisogna “educare” e dare l’esempio. Il regime di Teheran porta in piazza ogni giorno decine di donne, che davanti alle telecamere artificiosamente manifestano contro l’”ingerenza occidentale”. È una ulteriore volgarità e provocazione. Altro che “ingerenza occidentale”. I paesi liberi e responsabili del mondo e la comunità internazionale dovrebbero intervenire massicciamente, in qualche modo, per via diplomatica, pacifica e non violenza, per far cessare immediatamente questa orribile mattanza. La Repubblica islamica ha sempre fatto un uso abnorme e sciagurato della pena di morte come strumento di repressione contro le minoranze. Qualcuno deve interrompere questo mefitico meccanismo farabutto e massacratore. 

Marcello Buttazzo