GAME OVER
di Paolo Vincenti –
È un piacere meschino ma irrinunciabile quello di infierire sui perdenti (ma a mia difesa potrei allegare un link con le decine di pezzi in cui me la prendo con i vincitori). Ci si riferisce ai trombati alle recenti elezioni politiche. E per essere ancora più meschini, ce la prenderemo solo con alcuni, non con quelli, pur sconfitti, delle forze che hanno vinto, ma con quelli dei partiti che hanno perso, dunque doppiamente trombati. E iniziamo col Pd. Trombato il sottosegretario Sandro Gozi. Trombato Ernesto Carbone. “Era fatale che quel ciaone un giorno sarebbe tornato indietro” scrive “Il Fatto Quotidiano”, con riferimento alla facile ironia fatta dal deputato renziano all’indomani del referendum sulle trivelle del 2016. Trombati Cesare Damiano, ex nome grosso del Pds, e Giuseppe Fioroni, ex nome grosso della Margherita. Trombato Stefano Esposito, che annuncia il suo addio alla politica (non ci mancherà). Perdono Gianni Pittella, eurodeputato socialista, in Lucania, e la giornalista Francesca Barra, che proprio nella sua regione ha raggranellato un misero 14%, addirittura nella sua città, Bernalda. La Barra, una delle giornaliste più belle del panorama televisivo, moglie dell’attore Claudio Santamaria, è stata fatta oggetto nelle settimane precedenti al voto dell’ironia corrosiva di un’altra avvenente penna, Selvaggia Lucarelli, che forse non perdona alla Barra di essere più bbona di lei. In un editoriale al veleno sul “Fatto Quotidiano” del 28 febbraio, “Francesca Barra la candidata-selfie strappata all’Isola”, la Lucarelli accusa la collega di “narcisismo, goffaggine e inadeguatezza” e di essere arrivata alla candidatura solo per la sua amicizia personale con Renzi; “non è conscia dei suoi limiti ed ambisce a tutto” afferma a Lucarelli, “ha una goffaggine da Fantozzi”, e accusa la Barra di essere una giornalista tappabuchi alla quale si affidano solo ospitate o trasmissioni di seconda fascia, perché sarebbe più attenta a mostrarsi in pose languide e sexi sulla rete che a lavorare seriamente. E la conferma di ciò, rincara la dose, sempre sul “Fatto” del 7 marzo, è il tonfo elettorale. “Nella sua carriera politica” scrive il Fatto Quotidiano, “c’è tutta l’essenza, che è poi il vuoto, del renzismo”. Sconfitto ma ripescato nel proporzionale anche il Rettore dell’Università di Messina Pietro Navarra, nipote di un capoclan corleonese, Michele Navarra, potentissimo boss mafioso fatto fuori dal clan di Luciano Liggio negli anni Cinquanta. Non si vuole far passare la tragica teoria delle colpe dei padri, ma è lo stesso Navarra ad essere da sempre al centro delle polemiche per una gestione ritenuta in odor di mafia della sua Università. E dalla Sicilia all’altro capo della Penisola: sconfitto Riccardo Illy a Trieste. E in Friuli, di cui è stata Presidente della Regione, perde anche Debora Serracchiani. Clamorosa la sconfitta di tutti i Ministri del Governo Gentiloni. Franceschini è stato sconfitto a Ferrara dal centrodestra. Marco Minniti addirittura stracciato a Pesaro dal grillino Andrea Cecconi. Valeria Fedeli perde nella sua Pisa, Roberta Pinotti sconfitta a Genova dal candidato pentastellato. Claudio De Vincenti a Sassuolo, Andrea Orlando in Toscana. Sebbene i ministri paraculi siano paracadutati, è innegabile la colossale figura di merda. Perde la Lorenzin, la sua lista “Civica Popolare” si ferma all’1,3. La Beatrice poteva fare come il suo compagno di merende Alfano, che ha avuto la decenza di non ricandidarsi. Presi a sberle anche Matteo Orfini, l’uomo ombra di Renzi, e Andrea Marcucci. Bocciata l’avvocato Lucia Annibali, sfregiata con l’acido dal suo fidanzato, a conferma che spettacolarizzare una tragedia per fini politici non sia molto elegante. Per quanto riguarda Liberi e Uguali, l’esercito dei trombati è guidato da D’Alema: ultimo nel suo collegio di Nardò-Casarano-Gallipoli. Doppia vittoria per il Salento: non solo si è liberato dell’odioso “Conte Max”, ma anche, in un sol colpo, dei vari notabili che da decenni ne infestavano le contrade. Gaudeamus igitur. Per Leu, trombati eccellenti il Presidente Grasso, che perde nella sua Palermo, e la Presidenta Boldrini, Bersani Fratoianni, Fassina. Sebbene paraculati, clamorosa la loro disfatta nei collegi uninominali. A sinistra, inaspettatamente trombata (ma salva) anche Emma Bonino, della lista Più Europa (il bacio della morte col democristiano Tabacci l’ha condannata) e tutta la lista Insieme, nonostante la benedizione di Romano Prodi (i baci dei democristi portano male!). Sparito, terminato, speriamo per sempre, anche Ingroia con la sua lista (della spesa). Non soddisfatto del misero risultato ottenuto alle politiche del 2013 con Rivoluzione Civile, il pessimo magistrato si è ripresentato con “La mossa del cavallo”, insieme al fanatico Giulietto Chiesa, con un programma immemorabile, stilato niente di meno che da Stefano Sylos Labini.
Altre forze politiche che sono fuori dal Parlamento. Parliamo delle estreme, iniziando dai fascisti. Non ce l’ha fatta Casa Pound, ed è così rimasto a terra Simone Di Stefano, che nella diretta della notte elettorale su La7 adduceva a motivo della mancata elezione il fatto di essere stato poco in televisione, di fronte ad un Mentana “Zatopek” (come lo definisce Francesco Specchia su “Libero” 7 marzo 2018) a metà fra l’incredulo e l’indispettito. È stato un attimo di smarrimento e appena Mitraglia si è reso conto delle farneticazioni del leaderino fascista ha iniziato a sommergerlo di battute al vetriolo. Scrive Selvaggia Lucarelli in un suo acido corsivo: “Lui che voleva invadere la Libia si lamentava di non essere stato invitato abbastanza in tv. Peccato davvero per l’insuccesso di Casa Pound, perché invece i risultati dell’altra coalizione di estrema destra Forza Nuova sono stati proprio incoraggianti: 0,37%. Se si mettessero insieme, se unissero le forze, altro che Libia. Potrebbero invadere almeno il giardino pensile di casa Boldrini. Potrebbero lanciare gavettoni al prossimo Gay Pride. Potrebbero radere al suolo tutte le sculture alla gara nazionale di castelli di sabbia a Cervia. Potrebbero sfidare Fassino a braccio di ferro. E invece di queste elezioni ci resterà il ricordo del piccolo Simone con la sua aria bastonata, che il giorno dopo la sconfitta, in un moto d’orgoglio, dice: ‘è ora di mettersi al lavoro!’. Ecco, bravo, il tornio con turni da 12 ore festivi compresi, sarebbe un buon inizio”. Povero Di Stefano, perculato da Mentana in diretta tv, perculato da Selvaggia sul “Fatto Quotidiano” del 7 marzo 2018, rischia addirittura di farci tenerezza. Non si può sparare sulla Croce Rossa. Infatti, nel caso di specie bisognerebbe proprio farla saltare in aria con le granate! E così per Forza Nuova, del pari bocciata dagli elettori. Anche Roberto Fiore non è stato votato neppure dai suoi parenti. Verrebbe di condire di sarcasmo un articolo di satira sui camerata 2.0, i nipotini del Duce come Fiore. Ma poi uno pensa alle irruzioni dei Forza Nuova alla messa di Don Biancalani (che pure è un personaggio disgustoso) a Vicofaro, Pistoia, a quella degli skineahds alla riunione del Pd a Como, a quella negli studi di La7 per interrompere la trasmissione dell’insulso Floris, oppure, che è la stessa cosa, all’aggressione degli antifascisti al balordo leader di Forza Nuova a Palermo Massimo Ursino, imbavagliato e picchiato, o ancora alle svastiche disegnate sulla lapide della scorta di Moro a Roma, e allora non c’è nessuna satira che tenga. Bisogna chiamare le cose col proprio nome: questi sono peggio della merda.
E sull’altra estrema, quella dei reduci comunisti. Anche Potere al popolo è rimasta al palo. Sebbene nobilitati dall’adesione di sigle come l’Anpi, l’associazione dei partigiani, e di molti rispettabili intellettuali, tuttavia come obliare il fatto che la loro base siano i centri sociali, come quello di Mario Pasquino, “Je so’ pazzo”, di Napoli? Quelli delle molotv e delle spranghe, delle vetrine spaccate e dei muri imbrattati, degli scontri di Bologna, quelli dell’antifascismo ancora più cruento e forcaiolo del fascismo? Povera Italia.
Paolo Vincenti
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