Dei giorni della clausura
di Gianni Ferraris –
La vita ai tempi della clausura domiciliare è esperienza inedita, nuova. Scopri la bellezza dei silenzi in strada, e scopri l’inquietudine delle strade forzatamente deserte. Contraddizioni che si avvoltolano su sé stesse. In casa scopri la bellezza dello stare con te stesso o con chi ti sta accanto sempre, la meraviglia dei pensieri che si rincorrono, di un libro aperto per caso e mai letto prima, si affacciano ricordi antichi, sguardi persi chissà dove e chissà quando. E quando esci per incombenze irrinunciabili quasi ti senti fuori luogo. Cambiano e mutano i rapporti. Per strada pochissime persone, guardinghe, con o senza mascherina, se si incontra qualcuno che viene in senso opposto sullo stesso marciapiedi, uno dei due cambia strada o si allontana, se ci si conosce il saluto è veloce e da lontano, guai a sfiorarsi,come insistono le notizie tutte. Un noto politico in vena di nostalgie propose di eliminare la stretta di mano e sostituirla con il saluto romano, drôlerie lugubri. Qualcosa si acquista e qualcosa si perde nei rapporti umani, soprattutto si perde il contatto di una stretta di mano, di sguardi, quelli che parlano senza dire.
Però si sentono le voci dalle finestre aperte in questo scorcio di prima primavera, si vedono dal balcone bimbi che giocano sui balconi altri, si passano la palla, si rincorrono, ridono forte. Da qualche parte abbaia un cane, anche lui chiuso ai domiciliari. Dall’alto i campanili barocchi guardano sotto, Sant’Oronzo invece non guarda più, è sceso a terra per farsi il lifting. La città è silenziosa e i lascia finalmente respirare, è sparito lo smog perché le persone fanno a meno delle auto. Si può fare, in fondo. Chissà che questa emergenza non ci faccia riflettere su come sia bello respirare aria e non smog.
Però quei negozi tutti chiusi portano il pensiero ai film del tempo di guerra. La nostra generazione per prima ha vissuto senza carestie per guerre e idiozie umane varie. Anche se sappiamo di carestie diverse e meno lontane, perché nel mondo globalizzato nulla è lontano, nulla è irraggiungibile e tutto, alla fine si mischia. Un virus malefico può partire dalla Cina ed essere importato come qualunque merce in un Codogno qualunque, e da lì può raggiungere in fretta mille e altre mille località.Un tempo non era così, un tempo la vita era meno veloce. Però, come ha scritto qualcuno, un tempo venivano mandati a crepare in guerra per salvare la patria, ora ci chiedono di restare in casa con i nostri pensieri, con i nostri frigoriferi pieni, con i computer e gli smartphone e le tv e i libri, per salvare il mondo. E in tempo reale abbiamo notizie di tutto il mondo, sappiamo nefandezze e grandi imprese.
E nella fatica di salvarlo stando in casa questo bizzarro mondo, si va ai fornelli e si cucinano cose meno veloci da fare, con calma, senza ansia, ascoltando i silenzi della strada e godendo dei profumi che escono dai forni e fornelli. Accompagnati da altri pensieri. Improvvisa compare Lucia che mi raccontava storie e storielle di paese, e ancora altri ricordi, il tempo del campanello che dice che il forno ha terminato di cuocere una torta all’arancia.
Questa mattina, mentre arrivava l’alba, lassù c’era una falce di luna (gobba a levante luna calante), mi guardava, ci guardavamo. Non l’ho toccata, troppo lontana. E mentre lei era lassù, in strada, sotto, passava un pullman che chissà dove andava in tempi così silenziosi, e chissà quali pensieri trasportava, e quali occhi assonnati o preoccupati per il virus che incombe e che arriverà anche qui, pare presto.
Il primo caffè mentre albeggia, la prima sigaretta sul balcone, i primi pensieri del nuovo giorno, il pensiero al mare sotto la luna, il primo notiziario, un rosario di numeri che dicono di quanti infetti e quanti morti. Che dicono “statevene a casa, non uscite” I bar chiusi che danno l’idea di tetro. Perché a quest’ora arrivavano i primi a bere un caffè e fare due parole di calcio, di lavoro, di politica. Ora nulla, solo il verduriere con le sue cassette tristi di frutta e verdure che splendono.
La giornata, un’altra, sarà scandita ancora una volta da numeri e notizie, pensieri e letture. In attesa di un’altra luna e di un altro caffè.
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