Con il fiato corto…
di Marcello Buttazzo
“Non vi sono solo cinque continenti, vi sono arcipelaghi, un fiorire di mari, evidenti e nascosti. La misura di ciò che chiamiamo civiltà cede il passo all’intreccio di culture dell’umanità”, scrive Edouard Glissant. Tempo truce, ferino, di conflitti cruenti, di persecuzioni etniche e religiose, di terrorismi. Tempo lacerato. L’umanità profuga, pellegrina, ha il fiato corto, non viaggia mai in prima classe con tutte le luci accese. L’umanità raminga solca i mari dell’incerta ventura con le attese nel cuore. E, talvolta, trova ad attenderla, impietosa, con la sua scura falce, la morte, in inclementi uteri di mare. L’umanità dolente coi ginocchi piagati percorre i selciati insanguinati, i deserti della ghiacciata indifferenza, le lande travagliose d’una esistenza sconfitta. Nei mari di Grecia, d’Italia, profughi non in cerca d’un favoloso Eldorado, ma d’una vita appena appena accettabile, navigano sperduti con un bagaglio di ferite impresse nella carne, nello spirito. Al cospetto d’un mondo in subbuglio, dinanzi a tanta gente che fugge, c’è chi vorrebbe innalzare anacronistici muri di ferro spinato in seno all’Europa. Addirittura, vi sono politici che, con la loro perenne demagogia strumentale, vorrebbero sbarrare le porte e chiudere le frontiere, pianificando politiche popolazionistiche asfittiche e abnormi. Ma non si può fermare la civiltà in cammino, che preme. Viviamo una brutta era, è indubbio: bisogna stare allerta. Non può essere un clima di pur legittimo smarrimento, seguito agli attentati criminali di Parigi, a giustificare certe idee ideologicamente ammuffite e di totale chiusura, che preconizzano addirittura una stagione di eterna emergenza securitaria. Noi cittadini del mondo non possiamo perderci sulla china perigliosa dei timori. Non possiamo cedere alla propaganda fiacca e becera delle Le pen e dei Salvini, che sullo “stato di paura” hanno scritto con inchiostro indelebile i loro programmi e fondato i loro momentanei successi elettoralistici. Noi cittadini del mondo pretendiamo giustizia, gradi di libertà, solidarietà, compartecipazione. E l’umanità che corre e, a volte, naufraga, esige spazio, tempo, respiro. L’umanità vuole raggi di sole, luna, stelle, sotto un cielo diverso e affollato. Vuole una terra comune per comunicare, per calpestare i campi dorati. L’umanità esige calorosa accettazione. Da noi, in Italia, paghiamo ancora in parte i retaggi passati della cultura degli infausti “pacchetti sicurezza”, dei “reati di clandestinità”, dei Centri di identificazione ed espulsione, delle piattaforme incredibili e inverosimili dei respingimenti in mare, volute dai governi Berlusconi, fortemente caldeggiate dalla Lega Nord. Epperò, occorre anche dire che l’attuale governo Renzi ha un atteggiamento di apertura nei confronti del flusso di migranti. Sulle nostre coste, continuano ad arrivare quotidianamente extracomunitari, spesso su traballanti e fatiscenti carrette del mare. Il nostro dovere di cittadini è quello di accogliere, di amare, di ascoltare. Dobbiamo prestare massima attenzione alle narrazioni di storie individuali di disagio, di dolore. Dobbiamo spalancare le braccia e sperare in possibili venti nuovi. Ascoltando l’altro da sé, ognuno è più attento al proprio sé. Chi viene da terre lontane, chi ha lasciato contrade nostalgiche, è giusto che venga nutrito. Dobbiamo tutti essere più premurosi verso i racconti di varia civiltà. Lo sgomento dei migranti è, talvolta, il nostro stesso scontento, la nostra ansietà, la nostra ancestrale paura di autoctoni, perché la vita infligge continuamente sofferenze, affanni, tormenti. Abitiamo tutti sotto uno stesso cielo. E l’interazione e l’integrazione sono sempre possibili. Lussureggiare gli ibridi, contaminarsi gioiosamente, trepidare reciprocamente al lume d’una serena comprensione. In fondo, tutti siamo orfani del tempo, tutti possiamo cantare tristi nenie di perdute memorie. In qualche modo, ognuno di noi ha subito un certo sradicamento, e s’è dovuto radicare a inediti abiti. Siamo tutti anime fragili, in cerca d’una carezza. Siamo tutti uomini e donne di tanti colori, di tanti gruppi etnici. Vogliamo incontrarci, guardarci dentro, bisbigliare le dolci parole che schiudono il giorno. Siamo esseri umani di questa contraddittoria contemporaneità. Vogliamo dimenticare le tribolazioni ed edificare la nuova società. Vogliamo percorrere la vita. Perdonarci la vita. Salvarci la vita.
Marcello Buttazzo
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