Come ottenere un grandissimo coinvolgimento delle persone nella gestione dei beni comuni
di Antonio Bruno Ferro –
È che ci vuole qualcuno che ti chiama, qualcuno che si preoccupa di invitarti. E poi, una volta provato il benessere che deriva dal piacere di stare insieme, accade che tu torni ancora una volta e poi una volta ancora ad incontrarti per il solo piacere di passare un po’ di tempo assieme ad altre persone. Questo accade senza sforzo, semplicemente e spontaneamente e soprattutto dura nel tempo. Quella che ho descritta era la sostanza che legava gli iscritti ai circoli o club per il tempo libero che adesso sono in via di estinzione.
Chiunque prima di invitare le persone a un incontro deve però essere consapevole che “O conseguirà un grandissimo coinvolgimento o servirà a poco” [Romano Prodi, La Stampa 15 gennaio 2020], perché se non c’è quel coinvolgimento, che vedremo poi da cosa può essere determinato, agli incontri dopo le prime riunioni, non verrà più nessuno. Magari all’invito le persone opporranno varie giustificazioni come la scarsità di tempo, gli impegni familiari o il concomitante impegno professionale, ma c’è un’unica certezza che è che non c’è stato un grandissimo coinvolgimento, quando inviti delle persone e queste, dopo le prime volte, non vengono più.
Scrivevo del coinvolgimento e delle motivazioni (desideri) che lo informano, e promettevo un approfondimento ed eccolo qui di seguito. Le persone si incontrano o per il piacere di stare insieme oppure perché hanno necessità di organizzarsi per il conseguimento di un risultato di successo personale o ricchezza.
Mi soffermerò su questa seconda motivazione che è quella determinante nella definizione dei recinti, che i giornalisti chiamano più elegantemente perimetri.
Il perimetro si crea con l’invito solo ad alcune persone escludendo tutte le altre. Una volta che si sia fatto l’invito per formare un consiglio di amministrazione di una impresa, queste persone si incontrano e si coordinano sui compiti di ognuna di loro.
La riunione si conclude con alcuni che accettano il ruolo che è venuto fuori nel coordinamento, e altri che lo rifiutano.
Chi accetta quel ruolo inizia la collaborazione che ha la finalità di ottenere successo e ricchezza, per tutte le persone che sono nel perimetro. Tale successo e ricchezza deve essere conquistato in aperta competizione con altre persone che già sono organizzate per conseguire lo stesso risultato.
La competizione può essere più o meno feroce, più o meno violenta, ma ha come epilogo un gruppo che vince e altri gruppi che perdono e vengono esclusi.
Nel gruppo che vince c’è lo stesso processo che è finalizzato alla conquista del maggior successo e ricchezza possibile, in competizione con le altre persone dello stesso gruppo. La competizione può ad esempio avvenire per la conquista del posto di presidente.
Il processo che ho descritto è quello che contraddistingue la maggior parte degli inviti per lo svolgimento di riunioni che hanno finalità di coordinamento tra più persone. Il risultato del processo che possiamo definire “ESCLUSIVO”, è appunto, la progressiva esclusione delle persone che sono coinvolte che, se non intervenisse l’esclusione del gruppo ad opera di un altro gruppo, arriverebbe al risultato finale per cui tutto il successo e la ricchezza sarebbe accaparrata da una sola persona. La frase simbolo del processo appena descritto potrebbe a ragione essere “Ne resterà soltanto uno!” detta da Victor Kruger “Il Kurgan” nel film “Highlander – L’ultimo immortale”.
Salvini, Meloni, Berlusconi, Zingaretti, Renzi, Calenda, Di Maio, Grillo, Fusaro, Rizzo e tutti quelli che fanno l’invito ad altre persone per ottenere un coinvolgimento su un progetto dovrebbero leggere queste mie osservazioni sul processo competitivo finalizzato al raggiungimento della ricchezza e del successo. Lo scrivo perché le persone che ho citato sono i responsabili di partiti che si propongono per la gestione dei beni comuni, e proprio questa finalità vede interessate tutte le persone della esistenza sociale, perché i beni di cui questi partiti dicono di volersi occupare, sono di tutti e non di una parte sola delle persone che formano la Comunità.
Per questi beni comuni, il processo più adatto è quello della collaborazione tra tutti, senza escludere nessuno e quindi senza opposizione, poiché si abbandona la competizione.
Solo con la collaborazione si può ottenere, conseguentemente, un grande coinvolgimento. E questo grande coinvolgimento è descritto all’inizio di questo mio scritto, ed è quello che si determinava nei circoli e club per il tempo libero. Ho letto la poesia di Franco Arminio pubblicata sul settimanale “L’Espresso” in edicola, e ho gustato i comportamenti, il poeta descrive, che originerebbero una “Comunità Italia Nuova”. Quei comportamenti posso diventare realtà solo con la collaborazione, e per ottenerla non dobbiamo far altro che lasciarci cadere dalle mani la competizione e accompagnare la sua scomparsa con un sorriso.
Antonio Bruno Ferro
Canto per l’Italia nuova
La prima cosa, cara Italia,
è rimanere sensuali. La politica
deve accendere le facce come fa un amplesso.
Lottare per la terra senza essere sensuali
serve a poco, metti giù altre parole, fai girare
formiche morte nel sangue, e invece bisogna
alzare in alto le chitarre come hanno fatto in Cile.
Ci vuole nelle piazze un canto a oltranza
e baci e abbracci in abbondanza.
La modernità non va adulata né licenziata:
ci vuole una modernità plurale,
le ragioni delle città e quelle dei paesi,
la comunità che intreccia indigeni e stranieri,
le ragioni dell’utopia e quelle dei banchieri,
il muso delle vacche e Piero della Francesca.
Fuori dal Parlamento
c’è l’Italia alta e silenziosa,
l’Italia marina e collinare,
industriale e inoperosa.
Bisogna costruire un tempo intimo e civile,
politica e poesia,
lo sguardo delle regole
e le regole dello sguardo,
la bellezza di ogni spazio
più che la ruggine del farsi spazio.
Bisogna subito spiegare a chi vota
per i suoi nemici
che il cancro non inisce
con nuove elezioni
e le acque si alzeranno coi profeti
della crescita e delle betoniere,
gli alberi caduti raccontano
di una terza guerra mondiale
in atto: la guerra del clima.
Non ci sono eserciti che si confrontano,
c’è il cielo contro tutti,
un cielo senza angeli
e montagne senza ghiaccio.
Ci vuole subito che la parola terra diventi
il primo motto:
noi siamo la politica della terra,
e questo dice anche della cura per chi sta
nei campi col gusto di fare cibo buono,
cibo per la salute.
Il secondo motto:
noi siamo la politica della salute.
Con noi l’aria torna pulita,
tornano puliti i iumi, le api stanno meglio
noi le veneriamo come fanno in Slovenia.
Ecco cosa vuol dire essere moderni:
avere Milano e Matera, l’alveare e la Rete.
Il terzo motto:
noi siamo la politica della giustizia.
Noi siamo la politica che in dieci anni
toglierà via dall’Italia il crimine organizzato,
magari resterà qualche folle, qualche malandato,
ma con noi in Italia diventa ridicola
la furbizia, orribile il reato.
Bisogna dire cose grandi e dirle con gli occhi
accesi da entusiasmo,
non è vero che vinceranno,
la loro candela si allunga perché è alla ine.
L’uomo del futuro non può essere nazionalista,
il pianeta può salvarsi solo con un uomo conviviale,
l’uomo proittatore è un rottame:
il capitalismo se vuole restare in vita
deve arrendersi alla poesia, alla gentilezza,
al mistero della morte.
Gli umani che stanno per venire
torneranno all’essere più che al dire,
saranno di nuovo attenti al dolore
degli altri, saranno stui di inzioni,
sarà bello essere nudi e sinceri.
Il quarto motto:
noi siamo la politica che profuma di gioia,
noi opponiamo le barricate della comunità
alla mestizia dei consumi,
noi opponiamo ai loro muri
una stretta di mano.
Il quinto motto:
noi siamo la politica dell’attenzione,
attenzione alla povertà e al dolore.
La destra è il tempo dell’imbrunire
e la notte è l’avvenire
di chi ora la conduce.
Noi siamo le due del pomeriggio,
siamo le vie senz’ombra,
siamo la politica della luce.
FRANCO ARMINIO
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.