di Andrea Cariglia

Giovedì (29 maggio) a sera sul palcoscenico del Teatro Paisiello la compagnia Teatro di Ateneo – diretta da Aldo Augieri già direttore di Teatro Asfalto – ha portato in scena in seconda replica lo spettacolo dal titolo H.H. confessioni di un vedovo di razza bianca. Donde H.H. sta per Humbert Humbert patrigno e amante della giovane Dolores – nota ai più per il suo soprannome: Lolita – nel romanzo “antierotico” dello scrittore russo Vladimir Nobokov ambientato nel paese degli yankee, nell’America nordorientale, nella prima metà del Novecento.

Premessa: se non avessimo saputo di assistere ad uno spettacolo di Teatro di Ateneo saremmo stati certi di aver assistito ad uno spettacolo di Teatro Asfalto. In ciò tuttavia non c’è nulla di scandaloso; ci si stupisce invece ( e neanche tanto poi), di come intorno al Teatro, dentro il Teatro, fuori del Teatro si moltiplichino e addensino sempre dei paradossi e dei conflitti. Quasi che non possa esistere Teatro senza questi. O che senza questi non si possa pienamente comprenderlo.

Esattamente come Humbert Humbert, colto e raffinato astuto e manipolatore, Aldo Augieri riscrive la sua versione teatrale di Lolita – che nella finzione del romanzo porta appunto il titolo di H.H. ovvero le confessioni di un vedovo di razza bianca – tentando in tutti i modi di sedurre i suoi ascoltatori attraverso un turbine di invenzioni poetiche, di creazioni letterarie, di girandole musicali e macchine scenografiche sofisticate e talvolta strampalate. Il tentativo del professor Humbert di giustificare le sue azioni – le sue puerili e lussuriose fantasie erotiche – attraverso le pagine di un memoriale compilato durante la prigionia alla quale queste azioni lo hanno appunto condotto; il tentativo di apparire in queste pagine come un malinconico e sincero – o quanto meno disadattato – signore di mezza età; quest’ossessiva ricerca di sdoppiarsi o moltiplicarsi nel tentativo di trovare una riappacificazione in extremis con i suoi aguzzini, questo gioco dei doppi, insomma, si rivela essere il copione ideale per un attore come Aldo Augieri sempre alla ricerca di “vie di uscita”, di “fughe” di rinnovamenti. Canali necessari all’attore per andare altre il personaggio, per creare una sovrapposizione irrisolvibile di piani interpretativi; e per poter soprattutto esprimere quell’istrionismo negato e soppresso dallo “S/stato delle pari opportunità”.

Lo spettacolo comincia con il più classico dei classici prologhi di Teatro Asfalto: in passerella a sipario chiuso, dalle quinte di proscenio, escono uno psicanalista (?) (Vito Lettere) e la sua infermiera (Federica Epifani) – che in se riuniranno e riassumeranno tutte le figure e i personaggi che popolano il romanzo di Nobokov – nonché quelli che popolano lo stesso personaggio di H.H. – nonche quelli che popolano le fantasie di Aldo Augieri – presentandoci l’interesse della scienza e della società per il caso di pedofilia del professore H.H. attraverso la febbrile schizofrenia che caratterizza la volontà appunto della scienza e della società di ridurre sintetizzare omologare spiegare dunque difendere il razionale e il ragionevole da ciò che si rifiuta di esserlo o che per natura lo contraddice. Si apre il sipario, seguono le giustificazioni di H.H. – interpretato da Augieri – e la danza macabra del suo amore per Lolita (Anastasia Coppola bravissima nel ruolo della ragazzina arrogante e sboccata), candida tra le farfalle e rossa fiammante come un colibrì ( quasi volesse eccedere il suo dimorfismo sessuale nei confronti del patrigno/amante), ma tutto sembra procedere lentamente come nel teatro di prosa più accademico. Poi ad un certo momento, quasi inaspettatamente ( ma sapevamo che sarebbe accaduto) quasi con un boato la follia di H.H. Augieri esplode in una nebulosa spessa e densa di riferimenti, allucinazioni, urla disperate. E tutto ciò nonostante gli estenuanti prologhi che rallentano la nostra immaginazione in corsa. Strepitose tutte le scene costruite per le videoproiezioni. Al punto che neanche per un attimo si è paventato il rischio che potessero apparire retoriche o semplicisticamente sperimentali. Ma tutte queste non sono che trovate in fondo. Molto ben riuscite. La differenza vera l’ha fatta la prova attoriale di Aldo Augieri.

Mi è sembrata questa una dichiarazione di follia; una presa di posizione contro tutto e contro chiunque lo accusasse ipocritamente di intellettualismo; contro chiunque lo boicottasse. Io ho veduto letteralmente questa dichiarazione di follia librarmisi di fronte agli occhi ogni qual volta Augieri ha scelto di scegliere la soluzione scenica più astrusa, più rivoltante, più grottesca inqualificabile al solo fine di sottolineare che in scena non esiste vincolo alcuno, che lui avrebbe fatto qualsiasi pazzia se solo gliela si fosse negata una volta di più. Mettendosi in bocca le parole di Humbert ha detto veramente cose irripetibili piroettando sulla logica della trama, sui dictat dell’accademia zompettando sui cadaveri dei suoi detrattori che lo hanno perseguitato nel corso degli ultimi anni.

A questo punto è giusto fare delle osservazioni in proposito, accantonando la lettura dello spettacolo che pure mi sembra di aver ampiamente consigliato a coloro che se lo fossero perso.

Oggi chiudono, perché di fatto accade proprio questo, sloggiano Teatro Asfalto dalla sede di Knos. E lo fanno per sostituirlo con un cinema. Questa sembrerebbe una scelta giustificata dalla necessità di potenziare le risorse del Cineporto; per migliorarne ed ampliarne i servizi. Cosa si può dunque contestare ad una scelta del genere? Apparentemente nulla. Ma a guardar bene accade invece che si vorrebbe tappare la bocca ad una delle realtà teatrali più importanti indipendenti e alternative che la nostra città abbia mai avuto. Si ripete dunque la stessa storia. Si disintegra, si occulta, si depotenzia la proposta alternativa di pochi per legittimare, allargare dirigere il pensiero di tutti verso un unico centro. Il famoso centro moderato. Che non dice no che non dice si ma dice sempre ni. Dunque si assassinano le idee. E lo si fa consapevolmente. Teatro Asfalto, per anni, nella sede di Knos – gentilmente concessagli dalla Provincia di Lecce; che altrettanto gentilmente ha poi ignorato, da sempre, la ricerca e il lavoro di Asfalto Teatro – ha prodotto i suoi spettacoli in totale autonomia e lo ha fatto si può a ben ragione dirlo in pura perdita e senza alcun aiuto delle Istituzioni; i cui rappresentanti farebbero meglio a smetterla di vantarsi per quello sciapo lavoro che fanno quasi che fossero – ed io credo che tali si immaginino – artisti essi stessi.

Dulcis in fundo arriviamo li dove senza equivoco ci porta l’evidenza: l’astuzia dei protagonisti di questo spettacolo sanguinolento sta nella loro spregevole ostinazione a dire il falso. Dicono il falso meccanicamente questi burocrati. Ci sono personaggi – e sono sempre gli stessi personaggi, che voi tutti conoscete; gli stessi di cui si sente dire frequentemente in giro: mi ha promesso questo mi ha promesso quello mi dice di aspettare di stare tranquillo eccetera – che non si potrebbero definire se non gentucola, o “mezze calzette” come diceva Dostojieski; continuamente immersi in torbidi affari sembrano non avere – e certamente non hanno – neanche l’ombra di un’ idea. Tuttavia costoro radono al suolo la forza creatrice dell’artista, depauperano la fantasia di chiunque gli si accosti.

Oggi Teatro Asfalto sloggia da Knos e non sappiamo dove troverà alloggio. E non confidiamo che nessuna Istituzione corra – perché correre dovrebbero – si slanci in una proposta o iniziativa alcuna. Ma non importa! Perché da ciò che abbiamo potuto vedere sul palcoscenico del Teatro Paisiello, Teatro Asfalto mantiene intatto il suo orgoglio e fila dritto per la sua strada. Che ci auguriamo – e anzi siamo convinti – porti verso riconoscimenti più importanti di questo mio breve encomio. Salvo che poi di tali riconoscimenti non se ne vogliano vantare in futuro altri, i soliti, le “mezze calzette”.

Andrea Cariglia