Omaggio a un grande eroe marittimese: Vitale Boccadamo, M.A.V.M.
di Rocco Boccadamo –
Devo ammettere che pure a uno come me che conosce a fondo, almeno così ritiene, la propria plaga natia, nel senso specifico delle fondamenta, degli scenari tipici e strutturali, dei limiti, confini e dettagli delle proprie origini, può, talvolta, accadere di non avvedersi, anche per lungo tempo, di un determinato particolare, vie più se il medesimo coincide con un aggiornamento risalente a epoca, diciamo così, non antica.
La suddetta confessione/considerazione non viene a sgorgare e cadere casualmente e/o per mero sfogo concettuale. Giacché il mio proposito, in veste di narratore, di stendere le presenti righe trae spunto, esattamente, da un minuscolo particolare colto qualche mese fa, un segnale d’indicazione toponomastica, fra i tanti che si affacciano all’imbocco delle strade e viuzze della località di Marittima in cui sono nato, ho vissuto stabilmente sino a diciannove stagioni e abito tuttora per sei mesi l’anno.
Alla periferia a sud est del paese, un’arteria invero contrassegnata da scarsissimo traffico, in proseguimento della preesistente Via S. Bernardo e, quindi, sfiorando la zona agricola comunemente conosciuta come “Pustizze”, nella parte inferiore sino a congiungersi con Via Maria SS. Di Costantinopoli, quasi al suo incrocio con la certamente più nota e ancor più storica e trafficata Via Acquaviva (ora, peraltro, ufficialmente e precisamente denominata Via Agostino Nuzzo), reca l’intitolazione “Boccadamo Vitale – M.A.V.M.”.
Nel notare il relativo cartello segnaletico, di primo acchito, nonostante che la popolazione marittimese si collochi sotto le duemila anime, non sono riuscito a identificare il personaggio.
Né maggior lume, a tal fine, ho potuto trarre consultando la deliberazione della Giunta comunale, che risale al 2011, relativa alla dedicazione della via e contenente una serie di dettagli sulla figura, compresa la motivazione all’origine e presupposto della scelta.
Poi, però, memore degli intensi legami di conoscenza, consuetudine e vicinanza che, sin dall’infanzia, mi sono sentito vocato, con naturalezza e piacere, a intrecciare e tenere con la generalità dei nuclei famigliari del paese, a un certo punto, non ho potuto fare a meno di andare a fondo e cercare di determinare, con precisione e chiarezza, di chi si trattasse. In altri termini, chi fosse, a quale focolare dovesse riferirsi, quel piccolo, anzi grande, eroe marittimese (una medaglia d’argento al valor militare non è un’onorificenza qualunque, non è per tutti, né, tanto meno, si può registrare in ogni paese), di cui mai avevo sentito parlare in precedenza e che, quindi, doveva essere rimasto, purtroppo, a lungo negletto nella memoria, nel ricordo e nell’ammirazione dei compaesani e delle stesse autorità locali.
Pongo quest’ultimo accento, atteso che, avanti di compiere le mie personali ricerche approfondite con finalità identificative, sono venuto a sapere che l’iniziativa dell’intitolazione di quella strada a Vitale Boccadamo, non era stata coltivata, sviluppata e conclusa localmente, avendo, bensì, preso abbrivo a seguito della segnalazione, da parte di un parlamentare della zona agli amministratori comunali, circa l’esistenza di un nativo di Diso/Marittima, Vitale Boccadamo, decorato di M.A.V.M., e ciò per essere caduto eroicamente durante la prima guerra mondiale.
Tale informativa, a quanto riferitomi, lì per lì, richiese che anche il Sindaco pro tempore e i suoi collaboratori ponessero mente locale e operassero diversi riscontri per dare un volto e un’appartenenza precisa all’illustre personaggio.
Dire che, in una delle mie prime narrazioni intorno al paesello di Marittima, pressappoco quindici anni addietro, fra l’altro così annotavo:
Regnava una totale e assoluta familiarità, si conosceva tutto di tutti, i vecchi avevano presenti i nomi finanche dei neonati e, analogamente, anche i bambini conoscevano quelli degli anziani.
Indimenticabili i semplici giochi delle serate estive nelle viuzze dei vari rioni, sotto una casuale lampadina dell’illuminazione pubblica, se e quando esistente, altrimenti al buio rischiarato solo dal luccichio delle stelle e dalla luna: si partecipava in numerosi, serenamente e gioiosamente, a prescindere dall’età.
Quotidianamente, anche col tempo inclemente, i giovani, gli adulti e gli anziani, di sera, erano soliti “uscire in piazza”, con lo scopo prevalente, se non esclusivo, di incontrarsi, far crocicchi, parlarsi e, così, tener sempre aggiornate le reciproche conoscenze.
Magari, ci stava anche qualche passata dalla bottega di mescita del vino, ma, ripeto, essenzialmente si discorreva, del più e del meno, come nell’agorà delle civiltà antiche.
Le ricorrenze delle feste, almeno delle principali, rinfocolavano vieppiù gli stimoli ai contatti, alla socializzazione, alle passeggiate, in coppie o in gruppi. In quelle circostanze, si registrava anche il fenomeno dei numerosi compaesani – residenti altrove – che mai mancavano all’appuntamento di un rientro, seppure breve; si materializzavano, in tal modo, più ampi e festosi spunti per incontrarsi.
Quando qualcuno versava in cattive condizioni di salute, non passava giorno senza che i compaesani, a frotte, di solito al rientro dalle fatiche nei campi, passassero a rendergli visita, per informarsi sul decorso della malattia, per condividerne le sofferenze mediante due parole o un sorriso.
Nei ragazzi e negli adolescenti era radicata l’abitudine, la domenica, di assistere alla “prima” messa al Convento; si saltava giù dal letto verso le cinque e mezzo, in certe stagioni ancora notte, si compiva il tragitto a piedi sotto l’incanto di cieli tersi e stellati. La funzione, per le otto, era già terminata e, così, si aveva a disposizione l’intera mattinata, per giochi e divertimenti nel boschetto sulla via dell’Arenosa.
D’estate, i giovani, se non c’era altro da fare, si attardavano in piazza o nelle strade principali del paese per tutta la notte, sino alle prime ore del mattino, discorrendo e scherzando, ma senza schiamazzi per non arrecare disturbo agli altri, in un clima di autentica amicizia e di schietto cameratismo.
Succedeva, non di rado, che la loro permanenza così prolungata s’incrociasse con le prime sortite da casa degli adulti, i quali, ancora buio, si avviavano verso i campi. Ed era molto bello scambiarsi, insieme, quel buongiorno avente un sapore assolutamente speciale.
Saltuariamente, di solito nella tarda serata del sabato, si spostavano in gruppi verso le marine per pescare i granchi, qualche scorfano o, magari, i polpi, sorprendendoli sugli scogli bassi e nelle buche a ridosso del bagnasciuga erboso sotto il fascio di luce di rudimentali lampade ad acetilene. In qualche punto, i gruppi s’incontravano e facevano il confronto dei rispettivi bottini che, intanto, strusciavano scivolando lungo le pareti interne delle caratteristiche anfore di rame o zinco (capase).
Gli usci delle case restavano in genere aperti, il rispetto della proprietà altrui era sacro, le notizie di qualche furterello costituivano un evento davvero eccezionale.
E poi, ultimo ma in certo qual modo pertinente, mio richiamo narrativo, contenuto nel racconto “Congedo dalla bella estate salentina: sui passi di Luca”, pubblicato in seno al volume “Luca e il bancario” – Edizioni Spagine Fondo Verri, dicembre 2016:
Luca, mio gemello di cognome perché primo cugino del mio nonno paterno Cosimo (al pari di Donato ‘u culiniuru, Costantino e Toto ‘u pulinu e di un certo Caianu), era un uomo dotato di grande giovialità, il classico amicone, anche se gravato, come, del resto, tutti, dal peso del lavoro sulla terra rossa e, in più, condizionato pure da un grave difetto o imperfezione nel camminare, non so se dipendente da un motivo congenito o dai postumi di qualche infortunio o caduta non curati adeguatamente.
° ° °
Dopo la parte introduttiva e di ambiente, adesso avverto dentro, prevalente, il bisogno che queste righe siano indirizzate e rivolte eminentemente a rendere onore e omaggio all’unico vero protagonista del “racconto”, all’eroe, a Vitale Boccadamo, nipote, figlio del figlio Salvatore, del Donato ‘u culiniuru, citato quale cugino carnale del mio nonno paterno Cosimo e, dunque, anche mio lontano parente.
Di famiglia contadina, analogamente e ovviamente come quella da cui provengo io stesso, Vitale nacque a Marittima il 9 luglio 1894 e lì visse da bambino, adolescente e giovane, sino a quando fu chiamato alle armi.
Mi torna facile vederlo in quelle lontane stagioni della sua esistenza, paesano fra paesani, presto avviato ad aiutare i genitori nei lavori in campagna, magari sospingendo al pascolo una pecora o una capretta.
Ho motivo di credere che gli fossero familiari determinate zone del comprensorio natio, in special modo la strada che conduceva e anche adesso porta verso l’insenatura Acquaviva, inframmezzata, a un tratto, dal cosiddetto canalone nella zona delle “Oscule” dove i progenitori di Vitale possedevano o conducevano qualche fazzoletto di terra.
Sullo sfondo la modesta ma caratteristica collina delle “Acquareddre” (piccole acque), verso la quale si affaccia l’imbocco della via da poco intitolata.
Non richiede speciale ardire configurare, quindi, che adesso, a distanza di oltre un secolo dai tempi dei suoi percorsi terreni sul frammento di territori in questione, Vitale continua idealmente a percepire gli stessi odori, la luce, i richiami, il frastuono, quando lieve e quando forte, delle onde del mare vicino, confidando i suoi pensieri, le sue attese, speranze e prospettive alla natura, al cielo azzurro, alla vegetazione e agli arbusti che, in buona parte, non hanno fortunatamente subito modifiche, con l’accompagnamento di cinguettii amici. Non senza rimirare, estasiato, la maestosità dei due carrubi giganti del contermine fondo agricolo “Mastefine”.
° ° °
Questi i connotati e le indicazioni personali di Vitale impressi sull’Estratto del suo Foglio matricolare concernente il servizio militare:
– statura: m. 1,55;
– torace: m. 0,81;
– capelli: colore castani, forma lisci;
– occhi: castani;
– colorito: bruno;
– dentatura: sana;
– arte o professione: contadino;
– sa leggere e scrivere: no.
Tratti somatici e altre caratteristiche e requisiti del tutto comuni, ove si rapportino all’epoca cui risalgono.
Vitale Boccadamo lasciò Marittima, chiamato alle armi, nel luglio 1916, con inquadramento nell’83° Reggimento Fanteria dell’Esercito e giunse, nel successivo ottobre, in territori dichiarati in istato di guerra. Dopo aver partecipato alla nona e alla decima Battaglia dell’Isonzo, rientrò al Corpo d’appartenenza nel dicembre 1917.
A distanza di pochi mesi (febbraio 1918), arrivò nuovamente in territori dichiarati in istato di guerra, con inquadramento nel 47° Reggimento Fanteria. Nel successivo giugno, prese parte attivamente alla Battaglia del Piave (o del solstizio) e nel corso dei correlati combattimenti, il 15 giugno 1918, morì a seguito di ferita da pallottola nemica, in località Zenson di Piave.
Il biennio dedicato al servizio della Patria ebbe a rivelarsi, per il giovane marittimese, un’eccellente scuola formativa, di crescita morale e umana, verosimilmente a completamento e rafforzamento dei sani e solidi principi di vita semplici e seri maturati e accumulati durante i precedenti periodi trascorsi in famiglia, tra i compaesani e gli impegni di lavoro nei campi.
Se è vero che, la “statura” d’insieme di Vitale ricevette una graduale ma decisa sublimazione e crescita, specialmente sotto le insegne, ritenute insostituibili, della dedizione alla Patria, dell’altruismo e dell’esempio positivo e attivo all’indirizzo dei compagni, o, per meglio dire, nel caso di un soldato, dei commilitoni.
Al culmine ed epilogo della sua azione, egli ebbe, difatti, a dimostrarsi una vera e propria pietra miliare per impegno, iniziativa e coraggio, e solo ciò spiega il tenore, parola per parola, della motivazione con cui, in seguito al suo estremo sacrificio in battaglia, fu ritenuto meritevole di un’altissima onorificenza, sotto forma di Medaglia d’argento al valor militare:
Distintosi già in parecchie azioni di pattuglia, sempre pronto ad offrire la sua opera nelle più pericolose operazioni, fu di valido aiuto al suo comandante di compagnia, infervorando i compagni, e dando loro costante mirabile esempio d’ardimento e di alte virtù militari. Slanciatosi poi fra i primi all’assalto, irrompeva con impeto tra le file nemiche e, ferito a morte, incitava fino all’ultimo istante i compagni alla lotta.
Zenson di Piave, 15 giugno 1918
° ° °
A tuo ulteriore e speciale merito, caro Vitale, al narratore tuo compaesano, omonimo di cognome e lontano parente, viene di rimarcare che la medaglia assegnatati dall’allora governante Re d’Italia acquista notevole maggior valore in virtù delle tue doti di uomo semplice e di umile meridionale. L’autentica grandezza non si misura per mezzo di stereotipi o regole generiche, ma è tanto più evidente e indicativa quanto più promana dall’animo, dall’essenza genuina e dal disinteresse rispetto a obiettivi utilitaristici o di vuoto egoismo.
Dal tuo arrivo al mondo nella Piazza Re Umberto I della comune Marittima, sono passati oltre 120 anni e il prossimo calendario segnerà esattamente un secolo dal tuo sacrificio sul fronte del Piave.
Si tratta, indubbiamente, di notevoli spezzoni temporali (mi permetto di segnare, sul tema, che mia madre, classe 1917, ha compiuto, idealmente da lassù, un secolo proprio qualche giorno fa e che nel 2018, insieme con un importante anniversario dalla tua dipartita in battaglia, a Marittima, a Dio piacendo, ben quattro nostre compaesane – Valeria, Ntina. Bice e Maria – celebreranno il loro secolo di vita), tuttavia, alla presenza di figure del tuo spessore, a mio parere, non possono esserci né quantificazioni di calendari, né somme di stagioni, né indici numerati di età.
Cosicché, anche l’ascesa in alto, viene a mantenere una continuità esistenziale, nel caso tuo con il legame proprio del gruppo di concittadine, che fra un anno, con lo stesso “18”, segnale indicativo del tuo percorso finale, registreranno un egualmente indicativo traguardo di vita.
La via, nei paraggi delle Oscule, delle Acquareddre, del Canalone e dell’Acquaviva, al cui imbocco ora si staglia nitidamente il tuo nome, ti rende maggiormente presente nell’ambito della minuscola realtà paesana e, da ultimo, anch’io, attraverso queste note che ho fortemente e sinceramente voluto rivolgerti, mi auguro di concorrere a renderti più vicino e idealmente ancora e sempre vivo in mezzo a noi.
Terminando, mi piace inserire in calce, alla stregua di parte integrante della mia rievocazione, taluni atti, documenti e immagini che sono un tutt’uno con la tua persona e la tua vita, sino all’eroico compimento.
31 marzo 2017
Rocco Boccadamo
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