di Marcello Buttazzo –

Mattinata al mare con l’amico e compagno di venture Giuseppe Fioschi. L’Approdo di Porto Cesareo è il nostro posto d’elezione. Oggi, io e Giuseppe vogliamo meditare sull’amore. Questo sentimento alato, nobile, rossoamaranto, che tutto muove. Abbiamo preso la Corriera da Lequile, per riassaporare il gusto degli anni perduti. Abbiamo pensato all’amore, al nostro eterno amore per la vita. Siamo saliti a bordo, abbiamo percorso a ritroso la strada accidentata che conduceva all’amore, abbiamo trovato ballerine di bianco vestite ad attenderci stanche dei loro volteggi. Abbiamo percorso i sentieri di verde, nel sogno ad occhi aperti abbiamo sognato l’amore imperituro possibile. L’amore, questo folle sentimento, di salite vertiginose, di cadute rovinose, di brezze ed ebbrezze. Talvolta, di dolore. Sì, perché anche il dolore è ragione di vita, ha il suo passo, la sua dismisura. Anche il dolore ha l’inerente rilevanza, il suo significato profondo, filosofico, ontologico. Alda Merini, la grande poetessa dei Navigli, che nella sua turbolenta esistenza aveva patito il travaglio di lacerate corde, era solita ripetere: “Io, nonostante tutto, la vita l’ho goduta pienamente, perché l’ho pagata a caro prezzo”. Il dolore, a volte, ci è sodale, accompagna il nostro viaggio per le alterne vicende, ci avviluppa. Ma chi ha sentito e respirato dolore nei suoi anni, può poi traversare la vita con consapevolezza e avvertire sulla pelle, inesausto, il sapore dell’amore. Amore per le cose dell’esistenza. Certo, il dolore va analizzato, scomposto, ricomposto, per far sbocciare finalmente nuove aurore vitali e sorgive. Il dolore va metabolizzato e trasformato in qualcosa di altro, per poter rendere il tempo ancora vivibile. Solo trasformando e mutuando il dolore, si può alfine sventolare la bandiera rossa dell’amore. Il mare è uno specchio di pensieri. L’amore.

Oggi, io e Giuseppe vogliamo soffermarci brevemente sull’amore per la donna. Che ci va di tratteggiare come angelo stilnovistico, che abbiamo imparato a conoscere fin dalle tenere età. Addirittura, in età fetale, la nostra memoria vivida è donna. La madre eterna. E pensare a te, donna, donna immaginaria, donna immaginifica, donna bambina, ci invoglia a compiere ardimentose imprese. Donna di verde marino, nascondesti l’immenso celeste. Dei rosei mattutini giocasti incosciente coi nostri corpi fanciulli, protesi verso le occidue ragioni dell’essere: l’esistere. Donasti all’anima indocile la dolcezza equilibrata delle virtuose emozioni. Quante corse con te, donna, verso i mari cristallini dell’infanzia. La tua giovinezza, persa su chine di sconquassamenti, i lidi bagnati e speranzosi e coperti delle fini sabbie dell’attesa, lungo scoscesi sentieri in salita di pigne e aghi di pino. Quante lunghe passeggiate con te, nostra cara donna. Solo con te ci smarrimmo e ci ritrovammo. T’aspettiamo ancora, piccola donna, sui selciati inesplorati della conoscenza, per sentirci bisbigliare da te con forza, ancora una volta, le calme parole di ciò che sarà. Tu, strega e maga, del nostro destino.
Oggi, al mare, io e Giuseppe abbiamo meditato sull’amore. Io e lui siamo appassionati della filosofia minimale. Giuseppe è un animo sensibilissimo. Tempo fa, l’ho visto piangere mentre osservava un volo radente di rondini. Animo da poeta. In questi pochi giorni di mare, grazie alla proletaria e comoda Corriera, l’ho visto sereno di percorrere i sempiterni cammini. Sempre per amore. L’ho visto lieto di trasvolare questo tempo. Nella fondata certezza che l’amore è amore. L’amore che c’è, l’amore che manca. L’amore che non finisce mai.

Marcello Buttazzo