di Marcello Buttazzo –

Dario Bellezza canta nella sua raccolta “Gatti”:

Non ho Paradiso, la vita fugge,
io mi stringo a te, felinetta
carina uscita da una tomba
di edera, al Testaccio,
fra tombe di famosi, di illustri
mentre tu, Belindina, non sarai
cantata che da me per i tuoi
sonnecchiosi miagolii.

Giovedì 17 febbraio s’è celebrata la Giornata Mondiale del Gatto, istituita nel 1990 dopo un sondaggio sulla rivista Tuttogatto. I piccoli felini venivano adorati nell’antico Egitto e perseguitati nel Medioevo. Secondo la tradizione popolare, febbraio viene considerato il “mese dei gatti e delle streghe”. Febbraio è il mese dell’acquario, segno zodiacale contrassegnato dall’indipendenza e dall’anticonformismo, tipici dei felini. L’astrofisica Margherita Hack sosteneva: “Chi non ha mai avuto un gatto non sa cosa ha perso e di quanta intelligenza e affetto è capace. Non conoscerlo e amarlo è una grave perdita per la nostra stessa vita e felicità”.

I gatti sono sensibili, curiosi, autonomi, ribelli, anarchici, indipendenti, spiriti liberi, giocherelloni, magici e permalosi. Noi umani siamo da sempre amici dei piccoli felini. I gatti sono, tra le altre cose, terapeutici. Quando siamo tristi o avviliti e carezziamo il nostro animale domestico, si allevia l’ansietà. Un gatto, che ci salta addosso e ci fa le fusa, contribuisce alla nostra salvezza fisica. Difatti, “chimicamente le fusa producono endorfine, sostanze prodotte dal cervello e dotate di proprietà tranquillizzanti”. Il gatto ci comprende, nel suo aplomb strafottente e individualista ci scruta sempre attentamente e minuziosamente e ci vuole bene. Mi viene da pensare che per i felini valga la stessa regola del cane di Pavlov. Il fisiologo russo Pavlov, nel suo laboratorio di San Pietroburgo, stava effettuando studi fondamentali sul comportamento umano, partendo dall’osservazione del suo cane. Lo scienziato, di mattina, arrivava nel suo Istituto convinto di dover studiare il suo cane. In realtà, il cane stava studiando Pavlov. Il cane conosceva tutti i movimenti del suo illustre padrone, e si poteva pure prendere l’arbitrio di fare pipì sui suoi stivaloni.

E così i gatti ci guardano, ci perlustrano. Cesare Pavese canta in una sua poesia: “I gatti lo sapranno”. I gatti sanno sempre tutto. Sono convinto che i miei due mici, l’albino Johnny e il nero Alfonso, sappiano tutto di me. Sono i padroni incontrastati della casa, i più coccolati. È un fatto molto positivo che si sia scelto il 17 come giorno per celebrare gli animaletti a quattro zampe. Il 17 nella vulgata comune viene considerato il numero più sfortunato per antonomasia. Si sfata un mito, soprattutto quello che i gatti neri siano portatori di sventure e di malasorte. Il mio gatto Alfonso ringrazia.

A proposito di gatti, sull’”Avvenire” di venerdì 18 febbraio ho letto un breve “Lunario” molto bello della giornalista e scrittrice Marina Corradi, che riporto integralmente:
“È solo un gatto. Un gatto nato all’addiaccio nella periferia sud di Milano, aggredito da un cane quando era piccolissimo. Trovato ferito e salvato da Elizabeth, una di quelle donne gentili che vengono chiamate gattare e adottato da noi. Scipione, così si chiama, è un comune gatto europeo dal manto tigrato. Cauto è rimasto, dopo la brutta avventura con il cane, è timido. Ma elegante e agilissimo, gli occhi verdi che scrutano attenti, prima di decidere se avvicinarsi. Questa mattina, nella quiete dello studio, silenzioso è entrato, poi senza alcuno sforzo né rumore è saltato sullo schienale della poltrona. Lo sguardo mi si è fermato sull’assoluta grazia di quel salto. Ho pensato a che prodigio di neuroni, ossa, muscoli è un gatto, come ce ne sono milioni. L’ho osservato, fiero in cima alla poltrona come la polena sulla prua di una nave, le pupille strette a fessura nella luce del sole. Com’era bello. Allora mi è sorta come una gratitudine per questa bellezza, per la perfezione di un umile gatto salvato per caso. Quanta bellezza, gratuitamente data. Da ragazzina dicevo che i gatti sono una prova dell’esistenza di Dio, mi è venuto in mente. Ho sorriso: beh, di tanto poi non mi ero sbagliata”.


E chiudendo con Dario Bellezza e i suoi amati gatti:

Mi contempli se scrivo
immodesti articoli per darti cibo.
Non ha più niente senso in me,
neppure l’alzata mattutina
e sonnambula, o la spesa fatta
in fretta per poi restare vittima
dell’ingordigia. Dio! Come sei
carina e celeste, i tuoi occhi
sono amari e buoni: io li amo
come fossero l’unica luce
che mi viene dal Paradiso.

Marcello Buttazzo