di Eliana Forcignanò –

Un cancello divelto grazie a una corda e a mani volenterose che abbattono le barriere. Un precorrimento di quella che sarebbe stata la riforma basagliana che integra il matto nella società e dimostra che fra salute e malattia non vi è separazione, bensì dialettica compenetrazione. Su RaiUno è andata in onda ieri sera la fiction intitolata “La classe degli asini” con una bravissima Vanessa Incontrada e un discreto Flavio Insinna nel ruolo di due insegnanti impegnati a “mettere il mondo sottosopra” sullo sfondo di un’Italia anni Settanta.Ispirata a una storia vera, la fiction ha ripercorso l’odissea di Mirella Antonioni Casale, classe 1925, che da madre e insegnante ha vissuto sulla propria pelle lo schiaffo dell’emarginazione sociale e ha lottato, insieme con uno sparuto gruppo di visionari, per l’abolizione delle classi differenziali. Grazie a questa donna, i bambini e le bambine con disabilità sono oggi integrati nelle scuole di ogni ordine e grado, senza dover subire – almeno in teoria – ingiuste discriminazioni. Perché, come recita un documentario di Comencini – “ogni bambino si tuffa nell’acqua che trova” e condannare un minore alla differenziale significava spegnere in lui non solo la possibilità, ma anche il desiderio di imparare qualcosa e di essere un bambino. Emblematica, a tal proposito, la domanda del piccolo Luca, affetto da sindrome di Down, sul perché si trovasse a esser respinto dai suoi coetanei. Una domanda che lascia l’amaro in bocca e pone quei pochi che vorrebbero cambiare il mondo dinanzi a un drammatico senso d’impotenza che ha per contraltare l’ignoranza di una società qualunquista e decisa a mantenere lo status quo.
Oggi come ieri non sono soltanto i cancelli con le sbarre di ferro a preoccuparci, ma soprattutto le gabbie mentali che possono esser designate con un solo vocabolo: stigma. La battaglia di Mirella Casale non è del tutto compiuta se, ancora ai nostri giorni e in una società che si pretenderebbe emancipata, i media riportano casi di palese discriminazione nei confronti di chi ha una disabilità fisica o mentale, se i bisogni educativi speciali non sono sempre individuati e garantiti, se il corpo docente, subissato dalla burocrazia, non ha l’opportunità e gli strumenti per riconoscere e aiutare un alunno o un’alunna in difficoltà. “La classe degli asini” è un film che induce a riflettere non solo sulla strada percorsa, ma anche su quella che si deve ancora percorrere perché il passato non ritorni, seppur larvatamente, nello specchio del presente.


Eliana Forcignanò