di Maria Grazia Palazzo –

Marcello Buttazzo
E se nel giallo ti vedrò
I Quaderni del Bardo 2023

In questa raccolta, dal titolo “E se nel giallo ti vedrò” sembra concludersi un ciclo di nominazione di una stagione esistenziale che focalizza la visione del poeta in un colore, il giallo. Il colore giallo è colore caldo, uno dei tre colori primari, complementare al blu. È il colore del sole, del buon umore, che Goethe definisce “il più prossimo alla luce”. Il suo chiarore, possiamo dire non è solo fisico ma metafisico, sprigiona un’energia ricca di sfumature della natura (è presente in primavera ma anche in autunno) ed evoca le stagioni dello spirito che anelano a saggezza, nobiltà, grazia, ricchezza.

In effetti la raccolta principia così: “Ruscellare/tra la pioggia che scende/per bagnarsi di gocciole benedette.” Si ravvisa chiaramente in questo incipit quasi un’iniziazione. Così anche nel secondo componimento (pag. 26), “Il tempo/ scorre, trascorre, /vola e ci porta nel suo altrove.” Quale sia il luogo dove potrà accadere il miracolo della fioritura, la rinascita che ogni essere umano è chiamato a compiere dentro la propria storia, nessuno può dirlo. “Passa il momento, / gli anni s’accollano/ come grani d’un laico rosario, /ma inesausta persiste/ la voglia di scompaginare il tempo.” Vi è però la certezza di un movimento interiore che non potrà mai sopirsi e che pertiene alla sfera del desiderio.

Il giallo è anche il colore che rappresenta il terzo chakra, all’altezza del plesso solare a indicare la capacità interiore, l’azione, l’assertività. E così, con visionaria assertività, si apre il terzo componimento della raccolta.

S’apre /il mattino/di puro diamante. / S’apre l’alterno destino degli uomini. La terra è fraterna, /la terra è ferita.”

È una chiamata a riparare ciò che offende l’umano, in un luogo concreto, nella storia, qui sulla terra. E allo stesso tempo è un invito a guardare alla condizione umana e sociale come una realtà collettiva ferita. Nella voce poetica di Marcello Buttazzo il femminile irradia la speranza e l’attesa.

Fai fiorire il mandorlo. / La primavera/ è sogno:/ è il tuo gioco/ di indomita ragazza. / La primavera, / come un mormorio. / Sfoglio e risfoglio l’insoluta margherita.” (pag. 27).

La raccolta è attraversata da un continuo dialogo tra incanto e disincanto (pag. 29). “I papaveri di maggio/ sono promesse. /Vorrei vederti/nel mio campo/che mi leggi la mano/ e mi trucchi le carte/perché possa vincere/ il pericolo avvenire. Si avverte, tuttavia, una luminosa visionaria speranza (pag. 30): “Ci saluteremo/al bar del risveglio/ai margini del mondo/l’umanità randagia/intona sempre/inni/di sentimento. / Ci ritroveremo.”

È una promessa, una certezza “anche nello scuro/ancora, /ancora/ancora.” (pag. 32)

Il poeta vive di visione. “Noi siamo/ uomini e donne/ passeggeri del sogno”, quasi che il vivere richieda un’azione invisibile, irrinunciabile, diuturna.

All’interno della raccolta ci sono più di ottanta voci di verbo all’infinito che sovrastano le voci di verbo al futuro e superano le voci di verbo al presente. Sembra che il poeta sia concentrato nell’attesa di vedere e ricorrono verbi di azione, ad indicare il dinamismo del desiderio di amore, quasi che tutto l’intero vivere si compia pienamente solo in esso. I sentimenti più contrastanti trovano pace all’interno di questo movimento incessante, dentro una natura che si fa giardino, astro, fiore, campo. Tutto converge verso la visione di un femminino, di una donna che è tutto, madre, amica, amante, icona di possibile incontro conoscitivo anzitutto di sé. Tutto anela alla pace, anche nella visita alla tomba paterna (pag. 39) e nel testo dedicato all’Ucraina (pag. 45)

E se nel giallo/ ti vedrò/ sarà per tenere acceso il sole. /Ambra/ e sconquasso minerale, /ambra/ed effluvi di vento/ nei tuoi capelli scompigliati. /E quel raggio di luna/che ieri/ho scorto rotonda/ come le tue gambe di giunco.” ( pag. 31)

 La poesia di Marcello Buttazzo è poesia dell’attesa desiderante, dell’amore per la sua terra natia, con lo sguardo agli ultimi. Come la cromoterapia ha il proprio punto di forza nel sapiente uso dei colori, medicina alternativa, così la poesia di Buttazzo ricorre, ancora una volta al colore, per attraversare un paesaggio esistenziale umano, quello del sogno, del desiderio, per fare giustizia dalla ingiustizia, compagnia dalla solitudine, bellezza dalle storture della vita. Una vita che non è solo quella dell’io poetante, scrivente ma dell’uomo che sente il proprio destino umano, in relazione speculare con quella di ogni uomo, di ogni donna e vede nel bambino una stagione privilegiata, uno sguardo da proteggere sempre, a qualunque età, come un’età dell’oro.

La poesia di questa raccolta è un canto agli elementi primordiali della creazione, allo stupore della festa, alla quotidianità di un tempo piccolo, umile, alto come una preghiera francescana, come un sorriso, uno sguardo, una movenza femminile che “la vita infinita” svela “a cogliere tutto il bene/ del mondo” (pag. 43), una folgorazione che s’imprime “nei meandri della notte”, una donna “che apre scenari” o “che frantuma confini” (pag. 58).