di Antonio Stanca –

Già da bambina, il nero dei capelli ricci, l’ovale del volto, l’armonia del corpo, dei movimenti, l’avevano distinta tra i compagni di scuola. A questo era servita pure la naturale tendenza ad essere buona, sincera, a comprendere, disporsi verso gli altri. Era bella e buona. Le volevano bene.

In casa si era prodigata per quel che serviva. Erano tempi, ambienti difficili e lei, Luigina, la maggiore dei figli e ancora molto giovane, aveva aiutato, aveva sopperito alle difficili condizioni della madre, spesso ammalata. Per qualunque problema si era prestata, lo aveva fatto rientrare tra i suoi doveri, lo aveva aggiunto agli altri che la scuola richiedeva.

Così fino a diventare una bella ragazza, di quelle che non fanno distinguere tra il corpo e la mente, la luce degli occhi e quella dell’anima.

Dopo la scuola l’Università, la laurea. In silenzio, in disparte le aveva vissute. Non si era fatta notare, la timidezza si era aggiunta alla sua semplicità, alla sua modestia. Nessuna ambizione finché non aveva incontrato chi la cercava, chi cercava le sue cose, il suo bene e fino allora non lo aveva trovato. Sarebbe stato la gioia, la felicità di entrambi, lo avrebbero vissuto in continuazione, sempre insieme sarebbero rimasti, non potevano separarsi. Da strade diverse, lontane erano arrivati, si erano scoperti uguali, non sapevano più stare soli. Sarebbero venuti il lavoro, la casa, la famiglia, il figlio e uniti li avrebbero visti, disposti a scambiarsi, a dirsi tutto come all’inizio. Neanche la morte prematura di lei avrebbe interrotto questa comunicazione. L’avrebbe continuata lui, sarebbe andata oltre, avrebbe superato tutto, sarebbe valsa più della vita.

Antonio Stanca