di Maria Grazia Palazzo

L’ultima opera Il cielo degli azzurri destini, di Marcello Buttazzo, pubblicata in poesia per iQdB, già dalla copertina, ha qualcosa di etereo e allo stesso tempo suggerisce quasi una sospensione del testo che poi andrà srotolandosi lungo le pagine come una rivelazione intensa e umanissima. Aleggia tra le parole, negli spazi bianchi, profondità di sguardo e i passi di oggi, di un uomo che si misura col passato, un passato che è vissuto e non vissuto, ferita e feritoia, laddove sembra proiettare la materia dei desideri in un’unica via di salvezza, fatta di amore e anche di dolore. Consonanza con la terra, dagli intensi accenti,  di  nostalgia struggente di ciò che deve ancora compiersi, che non fu, che non è, che non sarà, come a spezzare la linea continua del tempo in un atemporale indicibile, una verticalità fatta anche di apnee, di perdite, di resurrezioni quotidiane ed eterne.

Si avverte una atmosfera come di movimento amniotico, come se il cielo degli azzurri destini che dà il titolo alla raccolta poetica svelasse una corrispondenza di amorosi sensi, ancora da navigare, nell’inoltrarsi in quella materia nascosta, segreta delle relazioni originarie, radicali, senza difese, di cui si sostanzia l’esperienza d’amore e di dolore, cioè di finitezza, di ognuno. Amore per l’incantamento della esperienza dei sensi, che oltrepassano il dato della materia dei corpi ma che l’attraversano, realizzando quella appartenenza che dalla simbiosi fusionale prelude alla perdita, al distacco, alla nascita e alla rinascita. La nascita del sentimento del poeta verso la vita è ascolto innanzitutto e incantamento di luce, offuscamento della notte e delle ombre, ascolto della parola che nasce dalla bocca da sfiorare, da baciare, per non essere più soli, per accogliere di nuovo il silenzio.

È una ferita d’amore, che mai tace / e alza la voce a parlare, uno squarcio d’azzurro sulle cose (pag. 32). È la scheggia degli occhi e l’implorazione di parole quiete, perché il vascello del sogno/ possa viaggiare, inviolato, in mare aperto/incurante di ogni tempesta. (pag. 34). La parola poetica di Marcello Buttazzo non teme di sporgersi oltre il visibile, di rischiare di sentire, di snudarsi in quel tono di implorazione al materno, alla madre, alla donna, che è ricerca profondissima di approdo. Ma emerge nella sua ricerca anche il legame col paterno, oltre ogni separazione di corpi e di storie, come ricerca di radice e di senso, di una possibile narrazione che nasce ogni volta nuova, dalla consapevole appartenenza ad un prima, ad un dopo, di un andare e venire, di un tornare, di un essere oltrepassati dalle nuvole, di un oltrepassare l’indicibile. Come un mare/di quiete e turbolento/mi navighi dentro. (pag. 38) Visionari i suoi versi e pieni di stupefazione sensuale “Sono d’avorio/i denti della luna/ e il morso del tempo”(…)”sono di piume/i baci della luna” (pag. 44). C’è voluttà, carne, sangue nella poesia di Marcello Buttazzo, palpiti che si colgono nel centuplicato specchio della natura, rappresentata e disegnata, ora con tocchi di acquerello, ora di tempera dura, per dire di un cammino di giorni, dentro gli affetti e le separazioni, le perdite, il continuo ritrovamento archeologico di abbandoni e di eterni ritorni, quasi come nel caleidoscopio di astri che diventano visione profetica. “Ti vedrò/in un albeggiare di luna. /Il cuore/è sfinimento. (…) Il rosso d’amore mi strazia, (…) Ti rivedrò/in un rifiorire di cielo. (pag. 46). I toni si fanno acuti, in una sensibilità che guarda come l’oriente di una rinascita possibile, che precorre tempi non ancora avverati ma percorsi con l’immaginazione. Come una folgorazione la poesia a pag. 47:

Tu sei il sale

sul corpo

bruciato di rame.

Sei l’ostia compagna

e l’immensa

inestinguibile preghiera

che mi sazia.

Le genealogie e le assonanze poetiche sono tante, e richiamano i topoi del canto più profondo della poesia, nella storia della letteratura, antica e moderna, dalla poesia elegiaca greca fino alla poesia contemporanea. Ogni lettore attento saprà individuare la sua risonanza. A me giungono echi di immaginario di Leopardi, di Campana, di Gatto, di Pavese ma non solo. Ogni scrittura ha una sua cifra, quella di Marcello Buttazzo è poesia che sgorga come un fiotto dal cuore, come invocazione quasi orante di una presenza, struggimento e slancio, e sa regalare immagini di vita quotidiana, di intimità visionaria che si fa a volte straniamento, altre convivialità, incarnando e trascendendo il contingente.

Ti prego, dimmi/ tutte le parole non dette”. (pag. 61). “La sera corre. / Il tempo s’avanza/ al suono/ del tuo organetto” (pag. 63). La lettura di questo ultimo splendido libro di Marcello Buttazzo, con la ricca prefazione di Chiara Evangelista, per i tipi de i Quaderni del Bardo, di Stefano Donno, non potrà che aprire spazi di condivisione di una poesia che dialoga con i percorsi destinali del lettore.