di Marcello Buttazzo – Lequile, quante corse stremate d’amore sui tuoi dolci e amaranto selciati. Quanto respiro di incerte vicende, rammemorate nei miei giorni paesani. Quanto sangue di vissuti per le tue strade solitarie. I tuoi ulivi contorti e assolati, compagni di viaggio dell’alterna e incerta ventura. L’albero del mandarancio nel Convento dei frati francescani era un giovinetto virente e di splendore da assalire nelle nostre scorrerie di indocili fanciulli. Quanti giochi, quante passioni, in quel Convento di frati laboriosi, che racchiude ancora oggi il fiato più vivo, il sapore più profondo di spirituali pensieri. Lequile di gioia, di dolore, di salite, di cadute, di rincorse, di travagli, di ebbrezze. Lequile di colori soffusi e di lame nel cuore. Lequile di amori persi, di chimere di passaggio, di angeli con le guance di pesca. Lequile è un bimbo d’oro che piange e ride, cullato dal grembo di madri premurose. È un giardino di rose e di viole e ogni ipotenusa di sole è un’ipotesi d’amore. Una rappresaglia di gaiezza e colore. All’alba, si desta d’improvviso la vita. I primi lucori dell’aurora compagna sono il nostro voluttuoso strazio, l’eternoritornante tormento. All’alba, nei bar, la gente si racconta le storie di ieri. In piazza, d’estate, rondini pazze e anarchiche svolazzano e, con le loro imprevedute traiettorie, disegnano arabeschi di libertà. Soffia, soffia il vento di libertà. Soffia in un campo di grano, nel rosso insanguinato papavero, nel pino alto levato. Cagnolini con il muso di paglia s’inseguono, felici. Ragazzini cadono e si rialzano su uno spiazzo di giochi. Le vecchie pregano e s’incontrano nelle Chiese. E sono tutte in odore di santità. Io traverso lentamente il mio tempo e, come al solito, aspetto la notte. La notte amica e complice, che mi condurrà verso la prossima alba da incontrare.

Marcello Buttazzo