di Marcello Buttazzo –

Eppure basterebbe
stringere i pugni
per buttar giù ogni muro,
aprire poi le mani
verso il cielo
e raccogliere
grappoli d’azzurro.
E stare così attenti
a ogni raccolto
da dover posare
ogni arma a terra,
perché a mani libere soltanto
restituiremo il senso
alle parole.

Lunedì 4 luglio, presso la Biblioteca Bernardini di Lecce, ho assistito alla presentazione del libro di poesie “Sabbia di confine “(Edizioni Esperidi) di Pina Petracca. L’autrice ha dialogato con Anna Rita Merico. L’attore Donato Chiarello ha declamato i versi e la pianista Maria Fino ha accompagnato ed eseguito le musiche.

Conosco Pina Petracca da diversi anni, ci siamo alcune volte incrociati in reading. Mi ha sempre colpito favorevolmente il suo senso di accoglienza, la sua compostezza, la sua modestia, il suo amare l’umanità marginale. Una decina d’anni fa feci parte (per la prima e ultima volta in vita mia) della giuria del premio letterario “Risvegliare le parole”, che si teneva a San Cesario di Lecce. La giuria era presieduta dal professor Carlo Alberto Augieri. Nel dare il primo premio, fummo tutti d’accordo (giurati e presidente) nel preferire i versi vibranti di sangue, sdegno e amore, dedicati ai migranti che trovavano e trovano la morte fra le spume del mare nostro. Noi giurati avevamo scelto i vari versi da premiare, senza conoscere ovviamente il nome e il cognome dell’autore. Notai con un certo compiacimento che la prima poesia scelta era stata scritta dalla mia amica Pina Petracca. Ebbi la gioia di poter leggere personalmente in pubblico, la serata finale, la poesia di Pina. Un canto straziante sui povericristi che fuggono da fame, conflitti, guerre etniche, e che approdano (quando sono fortunati) in un Occidente opulento, che a volte non sa vederli, non sa rispettarli, non sa riconoscerli come esseri umani. Pina ha vinto numerosi premi e ottenuto menzioni speciali in concorsi letterari nazionali.

La raccolta “Sabbia di confine” comprende un lavoro continuo, che va dal 2017 fino ai nostri giorni. Pina Petracca è un’insegnante di Laboratorio di Chimica, ma la poesia è il suo mestiere d’elezione, è il suo buon ritiro spirituale, che sa far vibrare la sua anima, il corpo, atomi di sentimento. Il suo è un canto civile e d’amore, una poesia degli affetti, poesia intimistica e domestica, poesia totale.
Nella prefazione, Mauro Marino scrive: “La poesia mormora, fa rumore, canta, urla a volte: dovrebbe farlo sempre, ora, oggi soprattutto, in questo sconforto di Mondo”. Difatti, la poesia non può essere solo consolatoria: essa deve saper, quando occorre, levare alta la voce, denunciare, rendere scoperta la pelle e i nervi. Come sa fare sapientemente Pina Petracca, ad esempio, quando biasima la ferocia dell’ultima guerra in Ucraina. Tutte le metafore vanno a farsi benedire sull’altare del tiranno e a farsi ostia di veleno nella bocca rosea di Kirill. Prendendo ancora in prestito le puntuali parole di Mauro Marino: “Pina Petracca canta, urla il suo giorno, l’accadere delle ore, della sua riflessione sulla Vita. La poesia è dono, è presenza e lei ne è interprete allenata, allevata all’ascolto del verso, del suo venire mormorante, del suo cercare spazio nella sensibilità poetante”.
Nei suoi versi Pina celebra sempre la Vita, le gioie e i dolori dei diversi accadimenti. In un banchetto laico e compagno si ritrova la poetessa degli affetti con i suoi amici, con i figli, con la madre, con il padre, con la nonna, a spezzare il pane cereale della condivisione. La poetessa celebra sempre la Vita con i suoi doni, con le mirabilie, ma anche con le limitatezze dell’umano e con le malcelate contraddizioni.
Ha pienamente ragione Mauro Marino: “Pina allenata, allevata all’ascolto del verso”. C’è una evidente maestria nella sua scrittura, che deriva da anni e anni di letture, di prove su carta, di limature, di rimaneggiamenti, di sincera devozione alla maestra poesia. Ci chiediamo: cosa è questa sabbia di confine? Ad inizio della raccolta l’attore Donato Chiarello dà una descrizione altamente poetica: “Il limitare tra la terra e il mare, la risacca e le sue mobilità, il “sempre cangiante”, il “mai fermo”, con l’imprevisto dei ciottoli rotolanti. In fondo, un deserto protegge le stille d’acqua notturna e le fa rivoli, poi ruscelli che incontrano il mare”.
In “Sabbia di confine”, c’è una poesia dedicata ad Alexander Langer, che all’albero di albicocco impigliò la sua fame di giustizia sociale e di pace, la sua visione dell’esistenza pura e non violenta. Pina, poetessa degli affetti, del mare, della Natura illesa, della vita contadina. Il mare le sussurra delle bracciate al largo di suo padre. La memoria è linfa, è sangue vivo. La reminiscenza affonda fra le zolle della campagna, che brulica ancora dell’amore paterno. E, talvolta, s’appalesa un sentimento dolceamaro. La poesia di Pina è uno scorrere lento della rimembranza. Vediamo, a volte, la poetessa bambina fra gente cara.
C’è lirismo diffuso in “Sabbia di confine”. C’è lirismo nei cortili di giugno, nelle nostalgie di caffelatte e nei biscotti della nonna. C’è lirismo nei figli lontani che ritornano, nel bimbo che gioca a fare il pescatore, nei ceppi della vite, nell’ambulante che passava a radunare il vicinato intorno al prezzo delle mele. C’è lirismo nella nebbia dell’alba di ottobre, nello stupore dell’aurora d’agosto, nel vecchio contadino, il suo bastone all’angolo, le sue corse da bambino. In particolare, una poesia apertamente bucolica, per atmosfere e per incedere del verso, per metafore, per immagini di filari di vite, di pampini, di acini, di vino, del padre lavoratore, mi ha ricordato il clima che si respira nell’”Elogio dell’ebbrezza”, una delle ultime raccolte (prima della sua dipartita) di Angelo Lippo, il più importante poeta tarantino del Novecento letterario. Lo stile di Pina Petracca è decisamente colloquiale, aperto, fluido. Ognuno di noi può ritrovare tracce di sé in “Sabbia di confine”, che aderisce all’insegnamento morale e alla regola aurea che la vera poesia è universale.

L’arcobaleno
non sa della sua bellezza
delle teorie elettromagnetiche
delle lunghezze d’onda
dei sette colori
della luce dispersa
delle gocce di pioggia
del temporale passato
delle nuvole nere.
Semplicemente
s’inchina all’orizzonte.
E splende.

Marcello Buttazzo