Alessio Errico

Mezzo ettaro la mia eredità. Qui, proporzionalmente alla generosità del fondo e ai capricci del mio crepuscolo, seminai qualche dozzina di ulivi.

Qui non si ha memoria d’ermi colli, ove il sole – prepotenza – pare quasi calpestar la piana, più piatta sempre schiacciata ad ogni aurora. Eppure, proteso il mio sguardo in direzione ionica, giuro d’aver spesso scorto un poggio, e anelata la sua scalata – tenue un tempo, più scoscesa al picchiar d’un nuovo sole – ; quel poggio, non saprei disvelarlo oggi alla tua curiosità: ne perdetti le coordinate ben prima di partire, languida memoria. Ma, sfogliando, io vorrei  rintracciarlo e di Lui scrivere ancora.

Mezzo ettaro d’ulivi piantò mio padre, e suo padre pure ebbe l’ettaro suo, ultima conquista, unica vera appena prima di spirare (muto) nel nostro orto secolare; non un carro di buoi dal manto d’oro avrebbe riscattato la sua dignità operaia, non una magione terrazzata. Fortunato il nonno: a lui arrise la sorte e un ettaro intero promise, ch’ebbe il tempo di apprezzare appena germogliato.

Questa terra, per quanto soffocata dal raggio di ponente, sovente riservata e altre volte magnanima, pari diritti, oneri e doni concesse a tutti i suoi nascituri, senza discriminazione alcuna. La pochezza delle nostre ambizioni – non miseria, né vacuità – fu spontaneo riflesso della sua giustizia.

Quanto più distante quella terra e fioco il ricordo del mio poggio, tanto più li detesto, giacché mai vollero opporsi alla mia partenza; e semmai un giorno potessi ripercorrere i miei passi, più che godere finalmente di quel mezzo ettaro di canicola, darei la vita che mi resta per un sorso dell’olio di mio nonno.

Solo allora potrei perdonarli e, nudi piedi di fango e muschio, perdonare il mio demone errabondo.

Alessio Errico

*Nient’altro che un’Idea.