di Marcello Buttazzo –

Lasciami morire
nell’assenza dorata
del tuo sguardo
abbracciata alle tue parole.
Lasciami morire
nell’attesa
di sentirti ubriaco di me.
Lasciami morire
nell’estasi di un incontro
di anime vulnerabili
di corpi nudi.
Lasciami.
Vivere:
ora.

Alessandra Peluso, filosofa, dottore di ricerca in Scienze bioetico- giuridiche, saggista, ha da poco (giugno 2024) pubblicato per Edizioni Ensemble la raccolta di poesie “Azzardi dell’Io”. Sin dall’esordio è evidente che l’io poetico s’approssima ad un tu, nella consapevolezza che da un dialogo serrato può sortire una interlocuzione con un noi. Gli azzardi dell’io sono affidamenti alla parola, un prendersi cura della propria interiorità, cercando nell’integrità del proprio sé quell’antefatto che ci porta a rendere la poesia un gioco serio di parole, di sintagmi, di vissuti, di storie. Per Alessandra Peluso la scrittura è eminentemente un assecondare il flusso della vita in tutte le sue variabili di ebbrezza, di dolore, di gioia, di tormento. La scrittura è un cantare la vita, questo piccolo stratagemma che ci avvince pervicacemente ad un’idea. L’approccio filosofico, il comparire sibilante del dubbio è fondamentale, prioritario nella poetica di Peluso. L’esistenza non può crogiolarsi in uno sterile gioco di dadi a facce aleatorie, non può diventare la gabbia asfittica, ferrigna, stucchevole della certezza, che è una vera è propria limitazione epistemologica. Un approccio esistenziale vitale è quello di porsi insistentemente domande (anche insolute), piuttosto che proferire tristi, scontate, stereotipate risposte. “Il dubbio/la domanda/la risoluzione del problema/e non l’ostacolo:/uno sguardo nel pensare la vita”. La precedente raccolta di versi di Alessandra “Subbuglio” (2020) era incentrata su una sensualità esplosiva e matura, su uno scuotimento, un trasalimento dei sensi. Anche qui, negli “Azzardi dell’io”, l’eros è il motore mobile e vibratile che muove e anima scenari, è la forza portante che fa desiderare la vita e la ragione delle stelle: “Il desiderio/è impalpabile/tormento loquace/risveglia la carne/lo spirito trasuda/irradia il circondario/muta in amore/ se assente muore”. E tantissime sono le figurazioni di intrigante e suasivo sapore (“Sento il fumo che arde la carne”; “mentre a noi umani brulica lo stomaco,/brucia la voglia di piacere, di non più regole/ stanchi di messe cantate”; ”tutto brucia al tuo tocco di labbra/focose, alla cerca di vita, ebbre d’amore/per me”). La poesia di Peluso è poesia d’amore, non inteso però in modo edulcorato, ma come avviluppo che scatena tempeste di sentimento, piacere, ma anche talvolta scontento e disinganno. Un amore che sa cogliere l’azzardo del contatto, ma sa fare anche la conta di lacrimose parole che sfuggono, lasciandovi sale. L’amore per la vita, è vero, è un cimento che salva, ma a volte quest’amore si carica di un dolore atavico, che riapre varchi carichi di lacrime e ferite sanguinanti. L’amore per l’autrice non è solo accomodamento; anzi, a tratti, balena perfino uno sdegnato risentimento per alcuni pseudoamori, animati solo da aneliti egoistici e opportunistici. Può capitare che l’autrice possa anche patire una mancanza o latitanza d’amore. Ma la carestia viene risanata dalla passione imperitura per la vita. La poetessa predilige l’amore che fin dalle sue scaturigini è rosso di fonte. Nella raccolta è palpabile la forza dirompente della Natura (“la Natura sconquassa; “l’aria frizzante dei vigneti”; “meglio arare la terra arida/smuovere le zolle e inumidirle di rugiada”). Una poesia della luce, intesa come bene supremo che può pervadere l’umano sentire: “Preferire vivere col sole/che illumina la terra/ Vorrei andare a pesca di ideali/per raccogliere sogni da realizzare/e godere di carezze che bonificano il cuore”). “Azzardi dell’Io” reca uno stile lineare, senza alcun orpello. E sovente compaiono vari spruzzi e lampi lirici (“Fitta è la nebbia di rabbia/che fa sbattere contro/pizzi di rosso sanguineo”; “con l’abbraccio di una parola/ti assegno un bacio senza tradirti; “attraverso l’esistenza/ il vento vola sulle chiome/ingrigite da fuliggine di tormenti”). Sono frequenti nella raccolta di versi di Peluso piccole poesie, che possono essere assimilate a efficaci massime in forma aforistica (“Ti trinceri in attesa/ che qualcuno scorga/la tua ombra”; “sospesi nell’inganno/funamboli in vita/morti esasperati; “un affetto affettato/di lame limate male”). Il discorso sull’amore è molto arduo, può portare ad inciampi e ad accadimenti di varia natura. Non è semplice scovare e praticare l’ardore in un’era post-tecnologica, che con i suoi marchingegni sa addirittura inaridire il verbo, la semantica, la storia. Alessandra Peluso riesce compiutamente a tratteggiare le cose della vita, ha i piedi ben piantati su questa terra, con uno sguardo al trascendente, al mistero. Mi piace segnalare una commovente poesia dedicata alla madre. Si ha sempre timore, tenendo la mano di una nostra genitrice, di non ritrovarla più. Sapere una madre vicina ci fa dimenticare le ambasce e la paura d’esistere, “perché l’amore è condivisione”. L’ amore di madre è donato senza condizioni, amore sviscerato. Lei (la madre) è il respiro più necessario dell’ossigeno. La madre ci ricorda che la vita qualche volta è insostenibile, ma è sempre vita da esperire. Infine, vi propongo un’altra poesia tratta da “Azzardi dell’IO”:

Vorrei vivere un amore
d’adolescenza
puro d’essenza al mughetto
autentico senza armi né strategie.

Viverlo nella semplicità di quegli sguardi
sfiorati baci
tocchi timidi
mai sfacciati su mani assopite
da consolante affetto mai affettato
o gettato nel vaso
non di Pandora ma di un infante.

Azzerato da uno zero mozzafiato.

Marcello Buttazzo