Eravamo ragazzi…
di Marcello Buttazzo –
Dell’adolescenza e della prima giovinezza abbiamo un ricordo pulito, nitido, a volte nostalgico. Erano anni di corse, ricorse, cadute, risalite, gioie, ebbrezze, anche dolori e turbamenti. Momenti di bellezza umana e stupore ci prendevano. E non ci lasciavano. L’adolescenza e la giovinezza sono gli spazi fisici e mentali, ai quali notoriamente rivolgiamo la nostra più malcelata rimembranza. Eravamo ragazzi, giovani, pulsanti di vita. Il tempo ci pareva infinito. Noi eravamo immortali. Ora, nell’età di mezzo avanzante, ci rimane quel nostalgico ricordo di giorni dissipati senza sosta, senza posa, senza alcun risparmio. Traversati vertiginosamente, senza che alcuna ansietà serrasse il petto. Degli anni dell’adolescenza rammento, in particolare, la devozione per la lettura, per lo studio. Parimenti, ho molto caro dentro di me il rapporto con mio fratello Emidio. Lui è 9 anni e mezzo più grande di me. E per me, in quel tempo di formazione, lui è stato una guida. Per me era come un padre. Era il mio professore personale di matematica, di fisica, di chimica, di biologia. Era quello che mi consigliava le prime letture. Agli inizi degli anni ’70 portò a casa un libro di poesie di Saturnino Primavera, fine ebanista e poeta lirico di grande sensibilità. Ebbi modo, con i miei strumenti limitati, di apprezzare già allora quei versi adamantini. Emidio mi portava d’estate al mare con i suoi amici e amiche. Generalmente, s’andava a Porto Selvaggio. Mi fece conoscere persone lequilesi d’un certo riguardo: Padre Rosario De Paolis, lo scultore Nino Rollo, l’intellettuale Totò Casilli, i pittori Romano Sambati, Vito Mazzotta, Renato Centonze, Roberto Buttazzo, il poeta e regista Marcello Sambati. E Checco Solazzo, un barbiere comunista con la passione per il teatro. Checco, che è scomparso qualche anno fa, insieme a Saturnino, aveva avuto una piccola particina ne “Il fiore delle mille e una notte” di Pier Paolo Pasolini. In specie, Checco aveva dato la voce al poeta nero Sium. Mio fratello, negli anni del Liceo scientifico e negli anni universitari di Biologia a Roma, è stato un mio privato professore accorto, severo, ma morbido. Se alla “Sapienza” di Roma ho potuto sostenere quasi tutti gli esami del corso di laurea lo devo principalmente a lui, alla sua pazienza, alla sua preparazione, alla sua competenza. Alle sue lezioni illuminate. Ma Emidio per me non era solo quello che mi apparecchiava le regole auree dello stare al mondo (cioè il principio di realtà e il senso del limite), ma era anche un insostituibile amico più grande. Emidio mi ha fatto appassionare all’ascolto dei cantautori italiani, che per un ragazzino erano gli unici poeti pop conosciuti. Gli Lp di De Gregori, Bennato, De André, Battisti, Battiato, Guccini, Vecchioni, Pino Daniele, e altri, li ho potuti conoscere grazie a lui. A partire dal 1977 (io avevo 12 anni, lui 22), avvenne una piccola svolta musicale. Emidio cominciò a lavorare in una Radio di San Cesario di Lecce, una radio libera. Faceva un programma in cui dava notizie e metteva dischi di cantautori. Alcune volte mi portava con sé e mi faceva scegliere. Io prediligevo Battisti, Bennato, De Gregori, De André. Nel 1980 fui folgorato da Pino Daniele e da Mimmo Cavallo, un cantautore tarantino. Il suo “Siamo meridionali” mi attraeva per la musicalità, per la melodia, per le parole malinconicamente tristi e di denuncia. I partiti ambientalisti erano ancora agli albori, e un cantautore tarantino, con piglio amaro, già argomentava di alterazioni antropiche ecosistemiche. Ma mio fratello Emidio, per me, è stato anche un preziosissimo compagno di giochi. Il momento ludico denota e caratterizza gli aspetti più salienti della vita. Interminabili partite di calcetto erano il paradigma del nostro amore. Devo brevemente dire che Emidio, a 9 mesi, è stato colpito dal virus della poliomelite ad una gamba. Nonostante questo “impedimento” fisico, ha sempre partecipato alle partite di pallone, che io e i miei compagni organizzavamo generalmente a Lequile, a San Pietro in Lama, a San Cesario. Anzi, lui era un attaccante molto ambito, allorquando si facevano le squadre. Molto agile, nonostante la sua corsa più lenta, era tecnicamente bravissimo. E spesso segnava di piede, di testa, in acrobazia. Ripenso oggi con malinconia a quelle partite di calcetto, in cui esprimevamo la nostra idea fraterna di comunità. Antonio Gramsci scriveva che “il calcio è il regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta”. Quelle partite di pallone erano davvero una palestra di sentimenti, docilmente esperiti. Io e mio fratello abbiamo giocato con i nostri compagni dal 1980 fino al 2010. Il fatto interessante e coinvolgente è che in quei gruppi di pallone si ritrovavano padri, fratelli, figli, nipoti. Tutti uniti in nome d’un superiore pensamento di compartecipazione. So che alcuni dei mei amici continuano, nonostante l’avanzare dell’età, a giocare ancora oggi. A loro va il mio incoraggiamento. Il mio pensiero affettuoso va a quei compagni di pallone che oggi non ci sono più, che sono in un altrove: Filippo Gala, Tonio Capone, Antonio Erroi.
Marcello Buttazzo
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.