Dov’è la musa, che mi perdonerà il tempo?
di Marcello Buttazzo
S’abbarbica al giorno il tuo viso di primavera. Sole e stelle nei tuoi occhi, astri rotanti d’amore. Oceani, oceani di cielo nei tuoi occhi, che di marosi tempestosi inondano e incendiano i mari e traversano le feritoie del pensiero. S’abbarbica al giorno il tuo cuore, che è campo di grano dorato di vento. Il tuo cuore di fibre sanguigne, screziate d’amaranto. Lo so, sei la mia primavera, che aspetto d’inverno, quando il passero tace, la spiga è silente. E tu sei lontana. Lontana da me. Di sapori scarlatti e solitari m’incendio. Di rose rosse rosseggio e il sangue è palpitante trasalimento. Tu, mio conforto, di sospiri, di sogni, di colori e giorni, di rincorse e strazi. L’immenso desiderato amore. Una gemma di pane e di effluvi è la via che stamane percorro, che mi parla di te, degli istanti, dei celesti spazi. Cosa sei per me? Il risveglio ansioso e vitale, la sera serena, la notte con il suo fruscio e sciame di stelle silenziose, la dolcezza di mia madre, il gattino Johnny che mi rallegra con il suo mantello bianco e immacolato e il suo muso di paglia. Dialogare con te ( e interloquire anche con me stesso) mi fa sentire vivo, vibratile. Se non avessi questa piccola capacità immaginifica di farmi delle domande e di darmi delle risposte, anche quando sono lontano da te, sarei già morto. Sovente, l’universo esterno lo plasmiamo come meglio congetturiamo, lo adottiamo e lo strutturiamo sulle nostre feconde “manie”. Per vivere l’esistenza in porto quiete di barche ammarrate, ti tratteggio da sempre per quella che sei, rassicurante, un angelo viola di luce abbagliante. Tu percorri il mio ideale cammino, calpesti con me la strada dell’incerta ventura. Dentro di me avvampi in un moto di pura adamantina bellezza, come musa vicina e accessibile nelle spire del vagabondo pensiero. Cosa brucia dentro di te? Un cielo che traspare, una terra che rivela, un mare che sconfina. Tu sei la mia sacerdotessa, sacerdotessa del sogno. Tu sola mi puoi insegnare il giorno, il crepuscolo aranciato, l’alba celeste. Sacerdotessa del bene. Tu sola puoi insegnarmi la vita, l’amore, gli anni. Cosa sarebbero la gioia e il dolore, senza di te? E le lacrime consolate? Cosa sarebbe il sole senza i tuoi occhi? Con te vorrei mangiare il pane compagno della redenzione. Tu sei guida per l’anima lacerata, perenne barbaglio. Affacciati all’alba, conta gli svelti passi della gente che va. Donna nuda, donna d’amore. Avrei voluto baciarti con fuoco. Avrei voluto stringerti a me. Donna nuda, donna d’amore. Vorrei, come vorrei diventare degno di te. Degno dei tuoi baci e di centomila carezze. Degno del tuo cuore insanguinato. Vorrei farti compagnia, in modo che tu possa svelarmi le ragioni dell’universo e salvarmi dallo scuro. Donna nuda, donna mia. Fra le tue braccia, la vita e la morte, l’istinto e la ragione, l’inizio e la fine del mondo. Ogni notte, dalla mia casa, esco fuori a sfrangiare sentimenti: odo echi lontani. Ti sento. Ti sento ogni notte, che canti canzoni d’amore. La mia pelle è arsa e attende una novella stagione. Dov’è la musa, che mi perdonerà il tempo?
Marcello Buttazzo
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